martedì 2 maggio 2017

Spegnendo la miccia

Invidio sempre le persone palesemente entusiaste. Sapete, quelle che si accendono come le lampadine della Metropoli di Monster and Co. dopo una violenta risata di Bo, quelle che gesticolano come se le avesse morse una tarantola, quelle a cui la voce schizza alle stelle spaventando i cani e attivando gli antifurti delle macchine.
Quelle persone a cui è così bello fare un regalo. Le invidio, certo, ma non perché io non sia una persona entusiasta, anzi, ma perché, a differenza di loro, io non ho la minima idea di come si faccia a mostrarlo. Esiste qualche dottorato in espressione emotiva di cui mi sono persa la brochure? Avete accesso a qualche complicatissimo algoritmo da nerd anni '80 che sblocca l'applicazione "gioisci al 100%"? Bevete litrate di caffè? Ci date dentro di zuccheri? Elettrodi nel cervello? O magari è la sana vecchia droga? Insomma, entusiasti, che fate per riuscire a spremervi fuori la gioia con tanta facilità, mentre io sembro un tubetto di dentifricio rinsecchito all'aria? Perché voi date fiato alle trombe producendo un pezzo rockabilly che tutti vogliono ballare mentre io, quando ci provo, produco quattro note stonate, tutte in bemolle, che somigliano stranamente a quel suono da fallimento epico ed un po' comico che si sente nei film?  Avete presente? Quel suono da soufflè che ti si sgonfia tra le mani appena lo togli dal forno, quel motivetto da palloncino floscio quando, chiamando la persona che ti piace al telefono, quella ti risponde "Scusa, chi?". Ecco, quel tipo di suono. Il suono di Willy il Coyote di fronte all'ennesima incudine sulla testa. Comunque alla fine, a furia di pensarci, sono arrivata ad una conclusione che credo abbia molto a che fare con l'ansia sociale (che sorpresa...). Gli entusiasti non hanno scoperto qualche Santo Graal, né hanno carpito i segreti della pietra filosofale e probabilmente non si sono neanche mai avvicinati allo specchio delle brame nella Stanza delle Necessità. Credo che semplicemente non abbiano paura delle loro emozioni, forse a differenza di noi, sicuramente a differenza di me. Perché noi, invece, di paura ne abbiamo molta, anzi, moltissima, ce la facciamo proprio nelle mutande. Ne abbiamo anche ben donde, eh, dato che le viviamo come aliens che ci squarciano il petto senza ritegno per le nostre costole. Quindi, in nome della regola d'oro del "non si sa mai" e del "vogliamoce bene", quando l'emozione si fa troppo intensa, allunghiamo le dita per spegnere la miccia. E a furia di farlo, neanche a dirlo, è diventato un automatismo che ci ha fatto guadagnare l'onorificenza in targa dorata di "Stitici espressivi con incontinenza emotiva". Per abbandonare il pericoloso crinale della metafora intestinale, possiamo spiegare il concetto paragonandoci a dei chimici che hanno imparato  a dosare millimetricamente l'espressività come faremmo con la polvere da sparo. Un pizzico di salnitro, una punta di polvere di carbone, una spolverata di zolfo e giusto due gocce di acqua. Alla fine, se tutto va bene, la composizione chimica della nostra polvere sarà sufficientemente stabile da non farci perdere un occhio, qualche dito e la nostra reputazione.
L'effetto collaterale però è quello da cui è partita la questione, ovvero l'incapacità di esprimere appieno il sentimento, la stitichezza espressiva, il tubetto secco, la tromba stonata, il petardo spento. Si crea una dicotomia costitutiva in cui il fuori è solo un pallido miraggio del dentro e decisamente simile ad un formicaio: c'è un fuori, appunto, formato da montagnette di terra ordinatamente disposte a piramide, ed un dentro, paragonabile ad una strada di New York all'ora di punta, o alla metropolitana di Tokyo pressoché sempre. Fuori, la calma del bonzo, il sorriso della massaia americana anni '50; dentro, il rodeo, i cavalli imbizzarriti e la polvere finita pure nei calzini lasciati a casa. Fuori un giardino zen, dentro il chiasso urbano delle grandi metropoli, tutte clacson e slang. Come al solito, ad un certo punto perdiamo il controllo del controllo, quindi finiamo col non avere la minima idea di come abbassare le difese e aprire qualche finestrella in più. Continuiamo ad esprimere le nostre emozioni, e il nostro entusiasmo, solo attraverso il buchino del nostro formicaio, intiepidendole al punto da renderle slavate, sostituendo le tinte forti ai colori pastello. Ci convinciamo inoltre che tutto questo sia frutto di un coraggioso spirito civico, una sorta di rinuncia per il bene collettivo: siamo come Ciclope degli X Men, che deve indossare sempre gli occhiali per evitare di arrostire qualcuno con i raggi laser che spara dagli occhi. Convinti di avere tra le mani emozioni potenzialmente letali, è nostro dovere dosarle per non ammazzare nessuno. Un po' come Elsa di Frozen, per intenderci. Da grandi poteri derivano grandi responsabilità, in fondo. Ma sono tutte balle. Siamo solo spaventati che tutto questo marasma di emozioni ci sfugga di mano, di non essere accettati, di spaventare, di essere considerati strani, di essere lasciati soli. Per cui, in nome della cautela, insistiamo su questa strada tremendamente frustrante. Perchè credetemi, niente ci frustra maggiormente di questo imbuto emotivo in cui ci siamo intrappolati. Come fare a far passare un cammello dalla cruna di un ago? Ve lo dico io, non si può, a meno che la suddetta cruna non sia grande quanto il cammello. Il nostro destino è quindi quello di continuare a proporre sempre la stessa zuppa riscaldata, la stessa composizione chimica a prova di bomba, riducendoci a vecchie audiocassette usurate dal tempo, con la voce ormai grottescamente deformata? In realtà no, credo che il nostro destino sia quello di iniziare ad allargare la cruna, ad aprire l'imbuto, a dismettere i panni del chimico diplomatico dalle emozioni educate. Adesso, sul come si fa, accetto suggerimenti, perché io sto ancora brancolando un po' nel buio. Ma direi che il detto "persevera e trionferai" potrebbe essere un buon punto di partenza.
Duille




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Eccomi! Sono una scrittrice in erba, divoratrice di libri, sognatrice professionista e ansiosa sociale multicorazzata. Ho la fissa dei ricordi, la testa fin troppo tra le nuvole, interessi disordinati, un amore impossibile per gli alberi e una passione al limite del ridicolo per le serie tv. Ah, e le presentazioni non sono proprio il mio forte. Si vede?

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