domenica 17 giugno 2018

Fenomenali interventi cosmici in un minuscolo spazio vitale

Lo scorso weekend io e la mia migliore amica abbiamo fatto libri e bagagli e siamo partite alla volta di Padova, per andare a trovare una nostra carissima amica per qualche giorno. Era una prova per il mio lato ansioso, una specie di stress test, un esame di metà corso che valutava i progressi fatti finora.
Un esame sfalsato, certo, data la presenza del mio Xanax personale (la migliore amica) a sostenermi nei momenti in cui, invariabilmente, sarei scivolata sulla buccia di banana lasciata "distrattamente" dalla mia ansia sociale. Ma era pur sempre un esame perché quando la strizza ci strizza come un mocio Vileda, non c'è ansiolitico che tenga. Tutto è andato discretamente bene fino al momento in cui la nostra carissima amica ci ha invitate, il sabato sera, ad un megafestival che si tiene annualmente a Padova e che è la terra dell'indie, della musica underground e dell'alternativismo più sfrenato. Praticamente casa mia.
Eppure, da brava ansiosa, quei luoghi così rilassati, in cui tutti sembrano talmente a loro agio nella loro pelle che potrebbero anche scambiarsela e non farebbe differenza, quei luoghi in cui lo "YOLO" è il motto ufficiale, dove i capelli delle ragazze volano nell'aria come fili di ragnatele leggerissime e dove le persone ballano in modi così personali da poterli brevettare, ecco, in quei luoghi (come in molti altri, d'altronde), io mi sento un pesce fuor d'acqua. E non solo perché il mio concetto di relax prevede immancabilmente una panic room o perché i miei capelli, più che fili leggeri, sembrano piccoli nidi di cuculo pronti a reagire stizzosi ad ogni variazione di umidità, ma soprattutto perché io nella mia pelle ci sto scomoda, ci sono incastrata dentro come uno di quegli impasti per brioches che vengono infilati in piccolissimi barattolini di cartone e che fanno un distinguibile "pop" di sollievo quando li apri. Quindi ero lì, in quella marea umana di sorrisi grandi quanto spicchi di Luna, di parole elettrizzate che impregnavano l'aria e di aria smossa da colpi di anche, che stavo seduta sulla mia panchetta, tutta condensata in me stessa, sentendomi molto simile al cane che, pochi metri più in là, rosicchiava febbrilmente il legno della panca su cui era seduto il suo padrone. E per la serie "le sfighe arrivano sempre in coppia", la mia ansia, subodorando questo cabaret di insicurezze, si è presentata all'appuntamento, vestita elegantemente, su un triciclo cigolante e con lo stomaco gorgogliante di appetito, in un incrocio tra It e Jigsaw. Ma questa volta io ero pronta, temprata dal fuoco di mille anni di lacrime e torture cinesi dalla terapeuta, una Xena moderna senza il cerchio rotante. Abbigliata come il ricevitore di una squadra di baseball, con la determinazione del benaltrista che ha visto di peggio, ero pronta a lottare per salvare la serata da me stessa. Tra spintoni, qualche morso e parecchi calci sotto il tavolo, io e l'ansia abbiamo ingaggiato una furibonda lotta silenziosa ben camuffata dalla mia faccia da statua dell'Isola di Pasqua (il mimetismo è tutto in questi casi): era una lotta senza quartiere, intestina come le guerriglie basche e il PETA irlandese e brutale come i silenziosi litigi dei bambini nel sedile posteriore delle auto; avremmo potuto tirare avanti così per tutta la sera, lasciandoci in relativa parità di condizioni, se non fosse accaduta La Catastrofe, che avrebbe fatto crollare ogni mia difesa e che avrebbe trasformato la disputa condominiale con l'ansia in una guerra aperta, fatta di kalashnikov, gas lacrimogeni e scritte minatorie spalmate col sangue di maiale sulla porta di casa. La Catastrofe ci ha colti nel pieno della battaglia, con l'ansia che mi strattonava i capelli ed io che allungavo la sua guancia come una pasta per la pizza.

"Andiamo a ballare?" 

Marmorizzati in quella posizione, di fronte alla voce fuori campo che lanciava la granata con l'invidiabile nonchalance di chi non sa quale dramma stia innescando, ho visto gli occhi dell'ansia farsi porcini sopra un sorriso a trentadue denti e un paio di dentiere tirate fuori per l'occasione, mentre la mia faccia si liquefaceva sotto il peso delle previsioni di dolore futuro. 
E a quel punto, sipario. 
Luci spente in platea, brusco scivolone della puntina sul vinile musicale, immobilismo del pubblico in uno stato di gravità congelata. Sguardi puntati su di noi. Neanche una bava di vento osava fiatare. Tutto era buio e silenzioso come l'imminenza di un destino di morte. Si poteva quasi percepire il rumore dello scalpello di un becchino lontano che incideva il mio nome su una lapide grigia. In quel clima da mezzogiorno di fuoco, si poteva udire il mio respiro sempre più concitato e avvertire la sicurezza di quel sorriso maligno che si allargava, come una macchia di petrolio sulla superficie del mare.
Perché lei sapeva. Sapeva di aver appena ottenuto un bonus che io mi sognavo e che da adesso in poi lei avrebbe giocato indossando la tuta di Iron Man ed io quella di jogging, ereditata di seconda mano dal fratello maggiore. Con un'unica, consapevole deglutizione di saliva (mia), è iniziata una guerra psicologica senza esclusione di colpi (suoi), in cui l'Ansia, presa la forma del Rimugiserpe, si improvvisava il giudice Claude Frollo con Quasimodo, ponendo argomentazioni apparentemente schiaccianti e facendomi sentire peggio di Calimero, perché io non ero piccola e nera, ma goffa, babbiona e pure un po' bruttina. Non potevo andare a ballare con le mie amiche, altrimenti tutti avrebbero notato quella strana gobba di inadeguatezza che mi cresceva sulla schiena e la mia imbarazzante sfigaggine generale che avevo tentato di mascherare fino a quel momento. D'altro canto, non potevo nemmeno defilarmi, perché tutti se ne sarebbero accorti e la regola prima dell'anxiety club è non dare mai nell'occhio. Quindi ero in un impasse insanabile, roba che non si era vista dai tempi della pecora Dolly. Qualsiasi movimento avessi fatto avrebbe causato la mia rovina, lo smascheramento della mia natura di scorfano in mezzo ad un mare di pesci arcobaleno. Come sfuggire da questo stallo, dalla tagliola in cui mi ero ritrovata, senza fare troppi strappi? Semplice, non potevo. Ero destinata all'onta pubblica e, se non a quella, sicuramente all'autoflagellazione di fine serata, da accompagnare ad un tè caldo addolcito con un cucchiaino di miele. Sentivo gli occhi di tutti puntati addosso, o forse erano solo i miei che mi guardavano, chiedendomi utopicamente di essere contemporaneamente me stessa, invisibile ed inserita nel gruppo.
Mentre le mie amiche andavano sulla pista da ballo, io le seguivo come un condannato a morte che si stava avvicinando al patibolo, rigida come un baccalà sotto sale, in totale corto circuito e con una paradossale invidia verso tutti quei personaggi cinematografici che risolvevano le questioni semplicemente amputandosi un braccio a colpi di morsi. Camminando verso quel luogo di disperazione, mi sentivo vicina a Maria Antonietta alla volta della ghigliottina o a Tommaso Bruno davanti alla pira che lo avrebbe reso un arrosticino umano.
Mi sembrava inoltre di avere un occhio di bue puntato su di me, a monito dell'inevitabile momento in cui mi sarei coperta di ridicolo, facendo spanciare tutto il circondario (e non in senso buono). "Venghino, signori, venghino, la donna più imbarazzante del mondo sta per salire sul palco per vostra letizia. Comprate un pomodoro da lanciare alla creatura, sono solo due euro l'uno." 
Arrivate sulla pista da ballo, e mentre le mie amiche iniziavano a muoversi a tempo di musica, io riscoprivo la verità della mia dicotomia cartesiana mente-corpo, nella corteccia cerebrale c'era un clima da crollo della borsa di Wall Street del 1929, le sinapsi impazzivano mandando segnali a caso ai muscoli e il corpo, stufo di non sapere che fare di se stesso, iniziava uno sciopero estemporaneo paralizzandomi sul posto come i conigli sulla tangenziale, e facendomi sentire ancora più orrorizzata per la situazione in cui mi ero cacciata. Completamente in tilt, e con l'Ansia che se la ghignava spietatamente, non sapevo più cosa fare e mi sentivo completamente a disagio: a disagio per essere lì, quando avrei voluto solo galoppare lontano fino a perdermi nell'orizzonte, e a disagio per non riuscire a mimetizzarmi a dovere facendo ciò che supponevo si facesse su una pista da ballo: ballare. Ma il mio corpo ormai era entrato in sciopero e aveva deciso che finché ai piani alti non ci fosse stato accordo sul da farsi, si incrociavano le braccia fino a nuovo ordine. E' stato allora, nel pieno del mio pallone esistenziale, mentre i sindacati indicevano tavoli per trattare con i vertici neurali, mentre un gabinetto diplomatico corticale tentava di trovare una soluzione a questo ictus decisionale, mentre la mia coscienza mandava segnali di cedimento e iniziava a progettare una fuga in Ungheria, che è saltata la luce. Il Miracolo! Un intervento divino che avrebbe fatto sfigurare qualsiasi altro fenomeno soprannaturale, compreso l'arrivo di un canguro alato vomitante lingotti d'oro o Trump diventato improvvisamente un sostenitore dei diritti delle minoranze. Una botta di culo senza precedenti o, per parafrasare il genio, "fenomenali interventi cosmici in un minuscolo spazio vitale". Insomma, ero salva! Salva e intatta (più o meno). Salvata in corner, sul gong, per il rotto della cuffia, giusto in tempo, salvata sull'orlo del precipizio e qualsiasi altro squisito modo di dire possa calzare in questa situazione. Ero la felicità fatta persona. Dentro di me sindacati, cellule muscolari e neuroni stavano festeggiando in stile irlandese, fiumi di alcool e canti goliardici invadevano le piazze, tutti ballavano e si intrecciavano fiori tra i capelli, le vuvuzela si sprecavano e montagne di cibo venivano consumate alla maniera degli Hobbit, cioè senza parsimonia. Era tornata l'armonia e, soprattutto, avevo vinto per intercessione divina. Ho concluso così la mia serata indenne, senza ballare neanche un minuto e facendo le linguacce all'Ansia, consapevole di aver avuto la botta di culo del secolo, che pur non risolvendo il problema in assoluto, mi permetteva per una volta di gongolare di soddisfazione sapendo di essere inattaccabile. Un po' come Izma nei suoi momenti di grande successo. 

Duille

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Eccomi! Sono una scrittrice in erba, divoratrice di libri, sognatrice professionista e ansiosa sociale multicorazzata. Ho la fissa dei ricordi, la testa fin troppo tra le nuvole, interessi disordinati, un amore impossibile per gli alberi e una passione al limite del ridicolo per le serie tv. Ah, e le presentazioni non sono proprio il mio forte. Si vede?

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