domenica 12 maggio 2019

Into the war

Ci sono momenti in cui vivere con l'ansia sociale significa ritrovarsi in un contesto di guerra. L'ansia però è notoriamente perfezionista e non si limita a buttarci nel mezzo della mischia di una guerra qualsiasi. Niente brutte copie delle guerre puniche per noi, nessuna riedizione della guerra dei Cent'anni e nemmeno una rivisitazione in chiave moderna di qualche battaglia Pokemon particolarmente epica. Lei, creativamente sadica per natura, prende in prestito niente di meno che dalla Storia dei conflitti internazionali, pescando un po' di qua, tagliuzzando un po' di là, abbinando i colori e confezionando un bouquet nuovo fiammante che ha un non so che di funereo (vai a sapere perché). 
L'ansia quindi ci confeziona LA GUERRA, facendoci entrare di diritto nell'Olimpo di personaggi con conflitti pluriennali dedicati, come Elena di Troia, Ned Stark e il famosissimo Piero (che potrete trovare a riposare nel campo di grano). Grandi onorificenze di cui - mi sento di parlare a nome degli altri - avremmo tutti fatto volentieri a meno. Ma così è. A differenza dei colleghi succitati però, la nostra è una guerra invisibile, per cui non si canteranno ballate in stile Signore degli Anelli o si bruceranno ettari di foresta per narrarli. La guerra dell'ansia sociale nessuno la conosce, nessuno la comprende e, soprattutto, nessuno la considera tale. Siamo solo una manciata di persone un po' troppo fifone per essere normali. La nostra guerra però, anche se una guerra fatta di fantasmi, è comunque una guerra vera, che inizia con la chiamata alle armi, quando viene annunciato il Terribile Evento che, capirete dal nome, non avrà esattamente le stesse sfumature emotive di una gita a Disneyland. La chiamata alle armi ha più le sonorità esotiche della guerra in Vietnam, quando la roulette russa americana sorteggiava un anno di nascita che faceva vincere ai suoi "fortunati" portatori un viaggio di sola andata per l'inferno. Se i futuri soldati americani, da quel momento in poi, avevano negli occhi la morte, il sangue e le budella sparse un po' ovunque, noi ansiosi sociali veniamo invasi da scenari apocalittici fatti di pianti destrutturati come un piatto gourmet, pensieri snervanti quanto una zanzara notturna, sguardo disperato da malato terminale e giornate passate a camminare in un mondo diventato un campo minato, pregando tutti gli dei, noti e ignoti, in carica o pensionati, di aiutarci a non mettere i piedi in fallo. Il tutto con il corpo completamente elettrificato, come se dieci murene sguazzassero rabbiose nel nostro intestino o come se continuassimo a mettere le dita in tutte le prese di corrente che ci capitassero sotto al naso. In una parola, la chiamata alle armi ci getta nel Disturbo Pre-traumatico da stress. E da allora sono dolori, perché finché il Terribile Evento non sarà passato, annullato o noi avremo trovato la scusa a prova di bomba per schivarlo, l'ansia ci farà vedere i famigerati sorci verdi. Caschetto in testa, anfibi ai piedi, tuta mimetica che fa pandant con il nostro colorito itterico sfoggiato per l'occasione, veniamo catapultati indietro nel tempo, scomodando un'altra famosa guerra, forse una delle più note, tanto da avere l'altisonante nome di Prima Guerra Mondiale, e in men che non si dica ci troviamo in trincea per affrontare il difficile momento dell'Attesa, ovvero i giorni che separano la chiamata alle armi (aka, l'annuncio che il Terribile Evento s'ha da fa') e l'assalto (ma lì ci arriviamo dopo). 
L'Attesa ha il sapore degli umidi inverni europei, del fango molliccio sotto le suole, della puzza di polvere da sparo, del silenzio vigile, dei tentativi di mantenere una quotidianità che finisce coll'avere la consistenza del pane vecchio di giorni. Continuiamo a vivere, giorno dopo giorno, ma sui gomiti, pancia a terra, testa china per schivare i sibili dei proiettili, attendendo l'arrivo di qualche sparata della nostra ansia che dovremo combattere con il solo ausilio di un fucile di cui abbiamo perso le istruzioni per l'uso, di una lettera dalla persona cara a proteggerci il cuore e di una piccola riserva di buona sorte (che, in tempi di guerra, si sa, scarseggia). L'Attesa è una guerra di posizione che sfilaccia i nervi, che ci getta nel panico e ci svuota come lumache sotto l'impietoso assalto del cucchiaio. Da fuori non si vedrà niente, se non forse una minore energia, un'ombra più spessa sulle occhiaie, un occhio che si rifugia nell'orbita dandoci un aspetto Burtoniano che potrebbe anche ammaliare qualche groupie degli zombie (della serie, non tutti i mali vengono per nuocere). Dentro però, friggiamo sulla sedia elettrica, intrappolati in quella buca di terra che è rifugio e allo stesso tempo prigione. Dentro, ci logoriamo, nell'Attesa. Spesso, durante queste giornate, cerchiamo strategie per gestire il male di vivere che ci strozza come una flatulenza canina. Alcuni di noi si aggrappano a piccoli oggetti come fossero amuleti protettivi: collanine fortunate, portachiavi, piccole cianfrusaglie pelose capaci di rassicurarci, anche se per una frazione di secondo. E' come se avessimo bisogno di sentire la consistenza dei materiali sotto le dita, come se necessitassimo di un legame con la realtà quando ci sentiamo evaporare nell'immaterialità solida di un brutto sogno. Altre volte ci stordiamo, proprio come dei tossici, per far tacere per un paio d'ore quel rumore intorno a noi: ci spariamo film uno dietro l'altro come fossero cucchiaini di Nutella, ci ingozziamo di serie tv (eccomi), facciamo splendere la casa come neanche Bree Van De Kamp avrebbe saputo fare, ci ammazziamo di lavoro, sport, hobbies, impegni, commissioni, studio, litigi e condiamo tutto con una bella carrellata di titoli di coda insonni in compagnia della tv. (Piccola parentesi: io sono tra i pochi fortunati che, anche se stesse cascando il mondo, ad una certa fa subentrare il turno di notte e il custode corporeo spegne le luci e manda a letti i bambini come la più efficace delle tate. Ve lo dico così, giusto perché possiate rosicare un po'). 
Alla fine però, comunque agiamo, ovunque ci nascondiamo, qualunque azione stancamuscoli possiamo fare, ci ritroveremo sempre lì, nella trincea dell'Attesa, ad aspettare il momento in cui verrà urlata la carica, in pieno stile Napoleonico, e, baionette in mano e sgargianti divise rosse che ci rendono perfettamente visibili al nemico, ci slanceremo dalle retrovie, supereremo le linee difensive, ci fionderemo come mucche impazzite nella no man's land, scavalcheremo i cadaveri di chi ci ha provato prima di noi, e correremo incontro alla morte mentre tutto il nostro corpo farà di tutto per trattenerci, ci peserà addosso come un sacco di pulci su un pastore maremmano, si condenserà alla base dei piedi per rallentarci, ci darà delle taglie in più di scarpe che ci faranno inciampare, ma noi dovremo correre, correre incontro al pericolo, perché è l'unica cosa da fare, dannazione, o la va o la spacca, si deve andare, ci si deve schiantare contro il muro di corpi di fronte a noi, perché è quella la strada giusta, paradossale, certo, terrificante, sicuro, ma giusta come se fosse il tom tom stesso ad indicarcela. "Tra trecento metri, schiantarsi a sinistra". E poi, superato lo scoglio nemico, ci si ritroverà dall'altra parte, stropicciati come fazzoletti tra le mani di un adolescente tormentato, con qualche osso rotto, la dignità acciaccata e una città interiore squassata dai bombardamenti e tutta da ricostruire, ma saremo sopravvissuti all'Assalto. Vivi. Miracolosamente. Stanchi come se avessimo circumnavigato il globo in monopattino, ma vivi. Sparpagliati sul terreno come pezzi di un puzzle, ma un puzzle a cui non manca neanche un pezzo. Anzi, a ben vedere, ce ne potrebbe essere anche qualcuno in più, un pezzo jolly che brilla tra gli altri, come una medaglia al valore o il biglietto dorato di Willy Wonka. Saremo ufficialmente sopravvissuti al Terribile Evento (che poi si rivela immancabilmente non così terribile) e probabilmente ci aspetteranno ancora giorni di rimorsi e di rimproveri da smaltire come una brutta influenza, ma di certo siamo e saremo ancora in piedi, alla faccia di chi non credeva in noi. Alla faccia nostra. 

Duille



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Eccomi! Sono una scrittrice in erba, divoratrice di libri, sognatrice professionista e ansiosa sociale multicorazzata. Ho la fissa dei ricordi, la testa fin troppo tra le nuvole, interessi disordinati, un amore impossibile per gli alberi e una passione al limite del ridicolo per le serie tv. Ah, e le presentazioni non sono proprio il mio forte. Si vede?

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