domenica 19 novembre 2017

Etnologia dell'esame di Stato

Sveglia alle 6.30 del mattino, dopo 7 ore di sonno tormentato come se avessi dormito su un letto di chiodi, colazione ingollata con la stessa grazia dello struzzo di Fantasia, macchinosa vestizione con il solo scopo di non uscire in pigiama, capello tormentato e sguardo opaco da bacio del Dissennatore: questa era la mia condizione nel momento in cui stavo per sostenere le prime due prove dell'esame di stato.
Un esame faticoso, ansiogeno, talmente vasto da poter essere paragonato ad uno studio dettagliato del Silmarillon tolkieniano o, peggio, dell'intera storia delle casate del Trono di Spade, un esame che prometteva spargimento di lacrime e pezzaggio di ascelle come se piovesse, oltre a farci ondeggiare tutti sull'orlo della proverbiale crisi di nervi. Sarebbe bastato uno sguardo fuori dalle orbite più ostentato, una bocca più inarcata verso il basso, un più accentuato movimento nervoso della mano, a farci crollare tutti come un castello di carte tenute insieme dallo sputo delle nostre esili aspirazioni. In quella stanza di proporzioni faraoniche in cui mi sono ritrovata, c'era tutta la nervosa fauna psicologica locale, o meglio, metà della nervosa fauna psicologica locale, dato che l'altra metà (wannabes psicologi dalla G alla Z) stava sudando le sue brave sette camicie nella stanza accanto, altrettanto gigantesca, altrettanto satura degli odori tipici della paura del cane braccato. Ed in mezzo a quegli odori, quei capelli nervosi, quelle dita ticchettanti e quelle risate tese che tentavano di rimandare nel fondo della gola il classico groppo d'inquietudine che non aspetta altro che mietere le sue vittime, c'erano le persone che si erano arrischiate a salassare il proprio portafogli e a mettere alla prova i propri nervi con il misterioso Kraken accademico. Naturalmente, il 90% degli esaminandi erano ragazze, che riempivano la sala di onde multicolori di capelli variamente acconciati, come un piccolo stagno bruno screziato dai riflessi dorati di qualche sporadico ciuffo biondo. Ciascuna portava la sua personalità intessuta con orgoglio nei maglioncini neri come le profondità marine della fifa in cui sguazzavamo o nelle colorate fantasie dei cardigan che sembravano voler esorcizzare la paura a colpi di un ostinato ottimismo. Alcune avevano optato per un look professionale, total black, con stringate maschili di vario gusto e lunghe collane argentate, che parevano voler arginare il panico in una corazza di sicurezza professionale fatta di tessuto. Altre, invece, si erano abbandonate alla sregolatezza dell'emozione, scegliendo abiti larghi, stivali di pelo, felpe portafortuna da cui probabilmente non erano uscite da settimane e crocchie disordinate sulla cima della testa che sembravano voler mettere più distanza possibile tra sé e il cuore improvvisatosi batterista metallaro. C'erano poi le vie di mezzo, quelle che cercavano di darsi moderatamente un tono, riuscendoci solo a metà. Qualche dettaglio le tradiva sempre: uno smalto sbeccato, un maglione leggermente appassito, un occhio stanco, una pettinatura anarchica che si ribellava alle imposizioni sociali del razionalismo patriarcale in nome di un'onestà intellettuale e di una coerenza identitaria con il proprio momento di fifonaggine. Ed in mezzo a questo acquario di progesterone, sbucava qua e là una barba, un mimetico maglione a tinta unita, una mano mascolina, come una manciata di pesci che nuotavano in questa vasca di molecole d'acqua. Diversa composizione chimica, stessa paura dilagante. 
stranger things
Una paura che portava a gesti irrazionali e ad una preparazione più simile a quella del soldato in trincea che non dello studente sotto esame, un equipaggiamento a cui mi sono trovata onestamente impreparata: ovunque infatti si vedevano sacche di provviste, pile di dolci, geografie di merendine di tutti i livelli di salinità sparsi sui minuscoli tavoli, stecche di cioccolato grandi quanto cuccioli di dalmata, marche di delizie incastrate nei portaombrelli come in una calca statunitense da Black Friday, addirittura cibarie organizzate per tipologia di umore, e persone che, buttando alle ortiche l'ultimo brandello di decoro, facevano emergere, dalle profondità delle proprie borse, sacchetti della spesa gialli così stracarichi di leccornie da far impallidire la Befana. E di certo, facevano impallidire il mio mesto panino imballato nel più misero alluminio da gita scolastica. Accanto a quello stipendio mensile in formato zuccherino, che da solo aveva probabilmente fatto alzare il PIL di un buon punto percentuale, c'erano torri di bottiglie, un intero lago diluito in 200 contenitori di capienza variabile, praticamente una popolazione nella popolazione, strumenti fondamentali per evitare una disidratazione a cui il nostro corpo aspirava con tutte le sue forze, e sostenuto dalla complicità di un impianto accademico che aveva fatto dell'attesa una forma d'arte. Se infatti l'esame prevedeva una prova della durata di 7 ore, si doveva considerare un'attesa extra di 1 ora e mezza, gravida di perdita di liquidi da sudorazione fredda, secchezza delle fauci come se fossimo in un deserto tropicale, e inevitabile appuntamento di massa al bagno, come suggerito dal miglior stereotipo della femminilità. Durante l'esame poi, la situazione vescicale ha assunto dimensioni da intervento delle ONG, scalzando anche la condizione delle popolazioni centro africane.
Dato che vi erano solo due bagni e una media di 190 fanciulle dalla vescica delle dimensioni di un francobollo, resa ancora più suscettibile a causa della idratazione forzata, del freddo novembrino e dell'ansia da esame, ben presto si sono create liste d'attesa da profugo, con una media di 50 povere disperate ad un passo dallo svuotamento coatto, cosa che mi ha fatto drasticamente rivalutare l'insofferenza provata per anni davanti ai 30 clienti in attesa alle poste e che mi ha fatto capire definitivamente come nessuna pop star riuscirà mai a superare l'affezione letteralmente viscerale che lega la donna al gabinetto. In definitiva questo esame è stato più una prova di resistenza che un vero e proprio test delle nostre competenze intellettuali: l'obiettivo sembrava quello di metterci di fronte ad un test circondato da un alone di mitica impossibilità, portarci allo stremo delle nostre capacità psicofisiche e valutare quanti di noi avrebbero gettato la spugna in preda ad un interiore microsisma panico, simile ad un'esondazione del Vajont. In questa condizione da survival horror universitario, gli insegnamenti delle tonnellate di fantasy letti dai tempi della gioventù hanno fatto la differenza: immedesimandomi in Frodo Baggins, lottando contro la mia natura come Ron Weasley, assumendo la testardaggine di Brienne da Tarth e la disperata determinazione di Bob Newby di fronte allo zoo di Demidogs, ho tirato un calcio alla paura e all'inevitabile attacco di strizza da inizio prova, in nome del fuoco del guerriero di chi mi aveva preceduta, onorando i loro sacrifici e decidendo che, non importa come, ma sarei arrivata in fondo a questa prova. Nessuno Smaug di carta mi avrebbe fatta cadere, nessuna vocina alla Kilgrave mi avrebbe fatta vacillare, nessun asmatico Darth Vader mi avrebbe fatta passare al lato oscuro della forza. Io sono Duille di Ansialand, ho visto di peggio che una manciata di parole su un foglio protocollo timbrato!  Determinazione, disperazione, una buona dose di adrenalina 100% home made e il lamento dell'io infantile che vuole tornare a casa: questi sono gli unici, veri ingredienti dell'improbabile guerriero, quello scelto per caso, o per destino, come direbbero alcuni. Non assicurerà la vittoria, ma almeno renderà degni di una elogiante terzina nelle grandi canzoni medievali cantate dai bardi della propria memoria. Che è un modo epico per dire che potremo parlare della nostra esperienza senza vergognarcene troppo. Ed è già più che qualcosa perché gli esami vanno e vengono, ma l'autostima, con quella dovremo farci i conti per sempre.

Duille





4 commenti:

  1. Ansialand è un brutto posto, spero di andarmene presto! XD
    Comunque spero davvero che il tuo esame sia andato bene 🖤

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    1. Ansialand è davvero un postaccio, hai ragione Giusy! Ma ha il vantaggio di riproporzionare tutto il resto! :D Non so ancora come sia andato l'esame, perché mi hanno detto che ci vorrà un po' di tempo per avere notizie. Nel frattempo, sfrigoliamo allegramente sulla graticola della fifetta! :P

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  2. Bob Newby, superhero <3 (io ci sono rimasta malissimo... ç_ç)
    Va beh, come al solito scrivi in maniera così ironica e coinvolgente che quasi passa in secondo piano il dettaglio più importante, ovvero che hai affrontato questo Esame con la E maiuscola e sicuramente l'hai fatto egregiamente :) immagino che il calvario non sia finito, perciò hai tutto il mio sostegno! Sarò, virtualmente, il fido braccio destro pronto a combattere fianco a fianco con Duille di Ansialand contro ogni avversità!
    Un abbraccio e facci sapere come procede!!

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    1. Ciao Julia! Grazie mille. Anche se da lontano, sapere di avere una persona che tifa per me è rincuorante! E magari mi porti anche fortuna, chissà! ;D In ogni caso, grazie per i complimenti, sei sempre troppo carina! Appena so qualcosa dei risultati, vi faccio sapere! ;)

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Eccomi! Sono una scrittrice in erba, divoratrice di libri, sognatrice professionista e ansiosa sociale multicorazzata. Ho la fissa dei ricordi, la testa fin troppo tra le nuvole, interessi disordinati, un amore impossibile per gli alberi e una passione al limite del ridicolo per le serie tv. Ah, e le presentazioni non sono proprio il mio forte. Si vede?

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