sabato 25 ottobre 2014

Telefilm addicted #4 - Finestre su un passato ormai dimenticato: The Knick

Questa estate il panorama seriale non ha regalato grandi soddisfazioni. Tra serie soporifere, banali, se non addirittura da atti lesivi contro il pc, una serie ha spiccato tra tutte, salvando, da sola, 3 mesi solari decisamente da dimenticare! Sto parlando di The Knick, una serie che si è palesata, con la sua faraonica perfezione, ad agosto di quest'anno, quando ormai avevamo rinunciato a sperare in qualche novità decente e ci eravamo rifugiati nel tempio degli evergreen telefilmici. The Knick mi ha entusiasmato fin dall'inizio: la trama era incentrata sul personale di un ospedale di New York all'inizio del '900. La prima puntata si è rivelata un gioiellino in quanto ad ambientazioni, personaggi, tempi e attenzione ai dettagli, per non parlare dell'azzeccata quanto azzardata scelta di utilizzare una sigla dalle sonorità elettroniche per un telefilm ambientato in un epoca in cui a malapena si illuminavano le strade!

Ma si sa, una buona premessa non è indicativa di una buona serie e la proverbiale buccia di banana è sempre in agguato dietro ogni angolo. Beh, The Knick questo scivolone lo ha accuratamente evitato puntata dopo puntata, rivelandosi un vulcano di idee, un calderone di tematiche vastissimo ma mai pesante, snocciolate lentamente, pennellata dopo pennellata, fino a dipingere un quadro complesso e sorprendente. La serie infatti sembra quasi offrirci una finestra sul passato, mostrandoci uno spaccato vivente della vita di New York, con tutte le sue innovazioni e i suoi numerosi problemi, trattati qui con crudo realismo, senza ritocchi, minimizzazioni o esagerazioni. E questa fedeltà si incarna perfettamente nei personaggi protagonisti: complessi, ambivalenti, nobili e vili, pieni di sentimenti, di entusiasmo e di crudeltà. Personaggi che ripetutamente compiono errori, che seguono antidiluviane convinzioni, ma che sono anche in grado di superarle in nome di un ideale più grande. Personaggi che, quando non visti, svelano le loro più profonde debolezze, la loro sottile disperazione, la loro quotidiana lotta per l'affermazione e l'equilibrio, in una società che non ha nulla di equilibrato. Nelle storie di questi personaggi si intrecciano le tematiche sociali, di cui si fanno esempi viventi.
L'affermato Dottor Thackery, grande scienziato sempre alla ricerca di un modo per sconfiggere la morte dalle mille facce, ma che si trova a sua volta legato a doppio filo alla sua personalissima malattia, la dipendenza dalla cocaina che, puntata dopo puntata, ne condizionerà la vita, la carriera, e l'amore. Il giovane Dottor Edwards, unico afroamericano ad aver mai varcato le porte del Knick come medico e colpevole di ciò proprio in virtù del colore della sua pelle. Un uomo che lotterà letteralmente ogni minuto di ogni puntata per ottenere il rispetto che merita seguendo le regole, per poi lasciarsi andare a momenti di rabbiosa disperazione nel ghetto in cui è relegato. La stupenda Cornelia, figlia del maggior mecenate del Knick, espressione dell'emancipazione femminile, della saggezza della donna e dell'amore che non conosce confini etnici. E questi sono solo alcune delle vite che si dipanano nel mondo complesso e ricchissimo di questa serie, che non si tira indietro di fronte ad alcuna questione, in un'altalena musicale in cui non vi è mai una stonatura. Ogni tema ha il suo referente e i personaggi si muovono l'uno intorno all'altro in un balletto di apparenze, dietro al quale si cela il loro essere specchio della società. Il tema della dipendenza, dell'aborto, della corruzione dilagante, della criminalità a cui tutti si rivolgono, compresi uomini nobili, la pazzia e il razzismo, dipingono un mondo difficile, un mondo organizzato in rigidi ceti, un mondo in cui vivere è davvero sopravvivere.
E tutto ruota intorno al tema principale, che si sviluppa all'interno dell'ospedale: la ricerca fatta dai medici per salvare vite umane, lo studio di nuove procedure chirurgiche per ridurre il numero di morti, le scoperte che cambiano le sorti della medicina in un momento storico in cui le tecnologie erano poche e le tecniche terapiche ancora molto rudimentali. Ci viene mostrato tutto, le manovelle per risucchiare il sangue durante gli interventi, le mani nude all'interno dei corpi, la disperazione di fronte all'ennesima morte sul tavolo operatorio. Ma tutto viene fatto quasi per onor di cronaca, senza indugiare in macabri dettagli atti a sconvolgere il pubblico. Non c'è malizia in ciò che vediamo, ma solo verità, solo umanità. Sfaccettata, complessa umanità. Umanità che è soprattutto controsenso. Umanità che arranca nel fango di una società violenta ed egoista, ma che, anche in mezzo a tutto questo dolore, riesce a far emergere prepotentemente nobili sentimenti, che bonificano tutto, anche solo per un attimo. E che ricorda che, anche nei momenti peggiori, c'è sempre speranza. The Knick ha superato la prima stagione brillantemente, rivelandosi il gioiello che prometteva di essere, rendendoci spettatori, attraverso quella finestra che ha aperto per noi, di un viaggio nel tempo che svela l'attualità nell'ormai dimenticato, tenendoci col fiato sul collo, amando profondamente quei personaggi così incredibilmente umani, così capaci di cambiare e fare del bene nei momenti più impensati. Aspettando la seconda stagione, non possiamo fare altro che alzarci in piedi e applaudire questo piccolo capolavoro storico.


Duille





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Eccomi! Sono una scrittrice in erba, divoratrice di libri, sognatrice professionista e ansiosa sociale multicorazzata. Ho la fissa dei ricordi, la testa fin troppo tra le nuvole, interessi disordinati, un amore impossibile per gli alberi e una passione al limite del ridicolo per le serie tv. Ah, e le presentazioni non sono proprio il mio forte. Si vede?

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