domenica 29 novembre 2015

Telefilm addicted #8 - Si riparte dal taglio: Jessica Jones

Ci sono una serie di cose che, inspiegabilmente, mi producono una noia mortale, peggiore di passare un'ora a fissare un muro bianco. I negozi di intimo per esempio, mi annoiano terribilmente: appena metto piede in uno di questi store e vedo tutti quei reggiseni in fila come tanti bambini in gita scolastica, mi cala la palpebra come se mi avessero sparato un dardo anestetico in una gamba. Lo stesso effetto mi si produce nei negozi di cosmesi, nel reparto ortofrutta dei supermercati e nei negozi di ferramenta. La narcolessia da noia è un problema che mi affianca anche nel mio hobby preferito: distruggere la mia vita sociale guardando telefilm. Ci sono intere categorie che snobbo allegramente per evitare di appisolarmi seduta stante davanti al pc. Tra questi ci sono tutte quelle serie al sapor di mandragora che parlano di mafia, terrorismo e complotti vari, oltre naturalmente alla mia categoria preferita, quella capace di sedarmi come un cavallo al solo sentirla nominare, le serie che parlano di supereroi. Mamma, che noia! Appena vedo un mantello scarlatto, crollo sulla tastiera preda di un sonno profondo, se sento parlare di superpoteri e di conflitti tra bene e male mi vien voglia di prendere l'enciclopedia scientifica e iniziare a studiare tutta la tavola periodica. Non riesco proprio a farmeli piacere. Ho provato a guardarli più e più volte ma niente da fare. Una dose di belladonna credo mi terrebbe più sveglia di una serie sui supereroi. Credevo di dover mettere una pietra sopra alle possibilità di entrare a gamba tesa nel mondo dei nerd professionisti, quando un giorno di novembre è arrivata lei: Jessica Jones. 

Le pupille mi si sono dilatate come sotto effetto di una dose di cocaina, la bocca mi si è spalancata dallo stupore ed in men che non si dica ero dipendente da questa spettacolare serie dalle tinte noir. Ora, come si potrà ben intuire dalla premessa, io non sono un'esperta di questo genere, quindi tutte le mie opinioni sono mutuate dalla mia ignoranza, ingenuità e dalla crisi d'astinenza in cui mi trovo in questo momento, ora che le 13 puntate sono state divorate in un sol boccone, leccando anche le briciole. 
Jessica Jones, di cui non avevo mai sentito parlare in vita mia, è la storia di Jessica (ma va?), una ex supereroina dalla forza sovrumana e capace di fare salti che farebbero rodere d'invidia anche un canguro che, a causa di un'esperienza traumatica, ha deciso di appendere la tutina al chiodo e di aprire un'agenzia di investigazione. Jessica è un personaggio solitario, profondamente segnato dal trauma che ha funto da spartiacque tra la sua vita del passato e quella attuale, in costante lotta con la sua sindrome da stress post traumatico, che combatte a colpi di cinismo, isolamento, giacche di pelle e dosi generose di whisky che avrebbero già mandato in cirrosi epatica una quarantina di fegati. Ma lei è super forte, quindi suppongo che abbia anche un fegato d'acciaio. La sua vita solitaria e ombrosa verrà però completamente ribaltata dal ritorno del suo aguzzino, il responsabile del suo cambio radicale: L'uomo porpora. Ok, non ridete, lo so che il nome è un po' una barzelletta, potrebbe facilmente essere il nome di qualche uomo incrociato con una seppia, ma nella serie hanno saggiamente deciso di non mettere alla prova il pubblico non marveliano e hanno scelto un nome un po' più accattivante: Kilgrave. 
Il nostro super cattivo è davvero un super cattivo con i controfiocchi (per non dire altro): senza scrupoli né morale, sottilmente viziato e infantile, ossessionato da Jessica al punto da esserne lo stalker, ma allo stesso tempo fragilissimo, con un sotterraneo bisogno di affetto che traspare solo a tratti e che si scontra con la sua totale incapacità di farsi amare. E naturalmente, il tutto è condito da un superpotere da brivido: il controllo della mente. Inutile dire che la prima stagione vedrà questi due personaggi scontrarsi, soprattutto sul piano psicologico. Se infatti il contatto fisico tra i due sarà quasi del tutto assente per la maggior parte della stagione, la mente dei due personaggi sarà continuamente intrecciata in una spirale di paura, rabbia, desiderio e ossessione che darà un senso di claustrofobia e terrore allo spettatore così come a Jessica. Non si è mai al sicuro in Jessica Jones perché il fantasma di Kilgrave è ovunque, tranne forse sul fondo di una bottiglia. E' questo che rende la serie così innovativa, a mio avviso, e così coraggiosa. E' pronta a scardinare ogni certezza, ad insidiare il dubbio in ogni momento, a far vivere sulla pelle la paura continua di una minaccia invisibile ma percepibile come un vento di morte. E' il disturbo post traumatico che diventa immagine, che si dilata nel tempo di quelle 13 puntate, fino ad incarnarsi. Jessica e Kilgrave sono accomunati da una fragilità profonda ma allo stesso tempo opposta: Jessica lotta con la sua sensibilità, la sua dolcezza nascosta, la sua profonda empatia perché ha perso troppo e ora teme di legarsi. Kilgrave non sa letteralmente come amare e farsi amare, è profondamente egoista ma, allo stesso, soffre per questo perché, lungi dall'essere un gesto malevolo, il suo egoismo è indice di una non comprensione, di un non sapere. Kilgrave è egoista perché è l'unica cosa che sa essere. Non conosce altro, anche se sa che c'è dell'altro. Forse è proprio questo che lo spinge a tormentare Jessica: lei sa qualcosa che lui non saprà mai, qualcosa che lei possiede ma che rifiuta, qualcosa che lui vorrebbe ma che non potrà mai avere. 
Kilgrave è mutilato come tutto il mondo di Jessica Jones, un mondo che ha la forma di un corpo tagliato da mille coltellate, a partire dal palazzo in cui vive la protagonista, lazzaretto della miseria umana, popolato da personaggi infelici, sofferenti e che tentano disperatamente di sopravvivere in un mondo che non sembra fatto per loro. Il dolore cola da ogni inquadratura, dallo spartano appartamento/ufficio di Jessica fino al suo disperato tentativo di non farsi toccare emotivamente da nessuno, nello sguardo disperato di Kilgrave e nella sua rabbia infantile, nella storia degli abusi infantili di Trish, la migliore amica/sorella di Jessica, nelle storie secondarie accomunate dal tocco velenoso del villain. Ovunque c'è il senso di un'inevitabilità, di un'impossibilità di tornare ad essere ciò che si era, di una ferita che non potrà mai essere dimenticata, ma che sanguinerà in eterno. Non si può tornare indietro, si può solo ripartire da qui. Dal taglio. Dal sangue. Dal dolore. Tutti i personaggi sono accomunati da questa ferita profonda, al punto che in alcuni momenti i ruoli si capovolgeranno e ci si ritroverà a tifare anche per il villain, a sperare per lui, a non poterlo condannare totalmente. Queste, secondo me, sono le conseguenze di considerare il dolore nell'equazione: vedere il dolore annulla le posizioni, sospende il concetto di giusto e sbagliato, impedisce le semplificazioni, scardina le coordinate di buono e cattivo, spiega, quasi giustificandoli, atti orribili. Si è solo animali feriti che cercano disperatamente di sopravvivere, si è solo un ammasso di cellule intorno ad un buco pieno di sofferenza. E si può giudicare un corpo che sanguina? In Jessica Jones si zoppica, si cade, ci si rialza, si fanno errori a fin di bene e talvolta ci si lascia risucchiare dal dolore, diventando la sua spada, distruggendo e autodistruggendosi.Comportandosi da cattivi anche se si vuole essere buoni a tutti i costi. 
Ma in fondo, anche comportandosi in modi diversi, si è tutti disperati allo stesso modo. E' una spirale di traumi causati da altri traumi, al punto da trovarsi nel paradosso di non poter dare la colpa a nessuno. "Jessica Jones" non fa sconti, non ha paura di affondare le mani nella melma nera dell'ambiguità, di nuotare in quella fascia di grigi che separa il bianco dal nero. Si racconta una verità, senza semplificazioni facili, mandando continuamente in crisi lo spettatore che, di volta in volta, avrà un moto di tenerezza per l'eroe/antieroe, per il villain/vittima, per le vittime/carnefici. E tutto ciò non sarebbe possibile senza la magistrale bravura dei due protagonisti, Kristen Ritter e David Tennant. Lei dura, granitica che in un momento si scioglie davanti alla telecamera in un essere fatto di carta velina, fragilissima, sempre sull'orlo di impazzire dal dolore, di non poter contenere altro orrore. In un semplice sguardo, con un movimento di sopracciglia o un tremolio sulle labbra, la Ritter fa venire la pelle d'oca e comunica un carico di emozioni insostenibile. E David Tennant (conosciuto forse come il Dottore più figo della serie Dottor Who, nonché il mio preferito) è poliedrico, potentissimo, capace di passare in un secondo dalla follia più cieca all'infantilismo alla dolcezza di un ragazzino tormentato, semplicemente sollevando uno zigomo, spalancando gli occhi, allungando il suono della voce in un lamento da bambino viziato. Un ruolo che gli calza a pennello e gli permette di mostrare tutta la sua sconvolgente bravura. Entrambi gli attori riescono ad esprimere il dolore senza mai quasi nominarlo, ma incarnandolo, indossandolo come una fascia a lutto.
In conclusione, il vero protagonista di questa prima stagione di "Jessica Jones" è il trauma e la vita dopo di esso. Tutto nasce dal taglio e dal modo in cui si reagisce al taglio. In fondo, la differenza tra bene e male è tutta una questione di sfumature.   
Duille

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Eccomi! Sono una scrittrice in erba, divoratrice di libri, sognatrice professionista e ansiosa sociale multicorazzata. Ho la fissa dei ricordi, la testa fin troppo tra le nuvole, interessi disordinati, un amore impossibile per gli alberi e una passione al limite del ridicolo per le serie tv. Ah, e le presentazioni non sono proprio il mio forte. Si vede?

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