domenica 1 ottobre 2017

L'effetto Cenerentola

Un caleidoscopio è un strumento costruito per affascinare ingannando. Guardandoci dentro, si vedranno forme cangianti e colori vivaci che riverberano alla luce del sole. Ruotandolo si vedono splendide composizioni geometriche che si muovono vivaci e che si espandono all'infinito, verso angoli incatturabili dall'occhio umano.
Ma in realtà si tratta solo di quattro vetri colorati, forse addirittura pezzi di plastica, che ruotano su se stessi in un cilindro ricoperto di specchi. L'ansia sociale è molto simile: a volte ti fa credere cose che non sono vere, ti illude di essere libera, piena di  entusiasmo e possibilità, sconfinata, una specie di Julie Andrews meno intonata e meno aggraziata che scorrazza come un vitellino felice sui monti dell'Austria, quando in realtà sei  ancora saldamente incastrata in quel tubo di cartone specchiato. E i risvegli da questa illusione, di solito, sono abbastanza dolorosi. Convinti di poter finalmente fare grandi cose (o almeno quelle che per noi sono grandi cose), di aver conquistato il traguardo dopo una estenuante corsa campestre durata 600 anni, 40 magliette e svariati litri d'acqua, ecco che lì l'ansia tira fuori il suo tiro mancino, ci strappa prepotentemente il caleidoscopio dalle mani e ci introduce alla brutale realtà della terza guerra mondiale. Niente Julie Andrews, mia cara, e niente campi verdi della terra del Pretzel. Solo l'invasione nazista della tua casa senza neanche un po' di brillantina da Broadway. Io chiamo questa rivelazione l'effetto Cenerentola. E' quel momento in cui suona la mezzanotte, l'incantesimo si spezza e ti ritrovi a cavalcare una cucurbitacea trainata da quattro roditori e con un sacco di iuta come vestito. L'effetto Cenerentola è come il risveglio del sonnambulo: violento, disorientante e con un possibile rigagnolo di bavetta accumulato sul colletto del pigiama buono. Il risultato di questo brusco risveglio è ovviamente simile ad un crash test, o al sempre attuale Willy il Coyote che si rialza dalla buca che ha creato cadendo nel canyon, domandandosi cosa sia andato storto nel suo piano. L'incudine che gli cade immancabilmente addosso subito dopo, è la risposta. E la risposta, miei cari, è sempre la stessa: l'ansia sociale ci ha messo lo zampino. Ma perché il Serraglio si diverte a torturarci in questo modo? Io credo che lo faccia perché sia annoia, soprattutto quando noi diventiamo cauti e ci trinceriamo dietro routine rassicuranti e a prova di imprevisto. Allora lui si zittisce un po', allunga il guinzaglio e ci fa credere che stiamo migliorando a vista d'occhio, che le cose stiano finalmente ingranando, che la terapia stia facendo effetto, che la meditazione stia riallineando i nostri Chakra, che il cero messo in chiesa sia finalmente stato notato lassù, ai piani alti, e che la dieta del minestrone stia bilanciando la nostra flora batterica, restituendoci alla vita. Come si dice, mens sana in corpore sano.
Ma non vi illudete, l'ansia non ci ha mollato un secondo, è ancora lì, aggrovigliata alla nostra materia grigia, sempre domiciliata tra il sistema limbico e la corteccia prefrontale. E quando noi finalmente iniziamo a prenderci gusto, zac! Tira il guinzaglio, stringe i lacci del corpetto, dandoci un colpo di reni che ammazza tutti i nostri sogni di gloria. Quel momento in cui il fiato si mozza è l'effetto Cenerentola. Per capirlo meglio, facciamo un esempio, tratto dalla straordinaria, nevrotica vita della vostra cavia di fiducia, ovvero la sottoscritta. 21 Ottobre 2015, è la serata di festeggiamento di Ritorno al Futuro. Decido di andare ad un evento in discoteca con la mia santissima, pazientissima sorella. Tenete conto che era la mia prima volta in discoteca ed ero reduce di una settimana di lotta greco-romana con la mia ansia, senza esclusioni di colpi e bassezze. Io avevo sfruttato tutte le mie armi razionalizzanti, avevo sfoderato i miei inscalfibili entusiasmi nerd e la costanza della studentessa sotto esame. Lei mi aveva sussurrato agghiaccianti pronostici di immediata morte per vergogna (ma poi, si può morire di vergogna?) e mi aveva dipinto uno dei suoi soliti scenari apocalittici fatti di dita puntate, di occhi giudicanti e di sorrisi di scherno sulla bocca di tutti. Eppure, ci sono andata (per la cronaca, niente applausi: mia sorella mi ci ha dovuto praticamente trascinare, io mi volevo avvitare ad ogni lampione che vedevo!). Dopo un primo momento di difficoltà (in cui avrei voluto essere risucchiata dal pavimento), la musica mi aveva coinvolta, la tensione si era sciolta e il Serraglio si era distratto muovendo i piedini al ritmo di Footloose e Take on me. Stavo bene, ero felice, mi sentivo libera come l'aria e carica come una dinamite. Ero normale in mezzo a gente normale. La sensazione di una vita! Io ballavo (o meglio, zompavo) mentre il Rimugiserpe ripassava i passi imparati con la Wii, il pipistrello girovagava tra le luci in un cosplay del lucernario di Batman e il Procione ringhiava a tempo di musica sulle sue zampotte pelose.
E poi è arrivato un tizio che ci ha invitate a ballare con un suo amico. Sipario. Improvvisamente la musica si è fermata, il silenzio è calato sulla sala, le luci si sono spente, tutte le comparse si sono immobilizzate inchiodandomi gli occhi addosso e, come se non bastasse, un occhio di bue mi ha abbagliata, lasciandomi come uno spettatore trascinato a forza sul palco dal comico di turno. Tutto il mio bel sogno dorato si è poi frantumato con un rumore sordo, lasciandomi davanti alla mia personale versione di Arancia Meccanica in bombetta e sghignazzo. Era giunto l'effetto Cenerentola, che mi aveva ricordato che in fondo io ero ancora un'ansiosa sociale piena di paranoie, bruttina e che non sapeva neanche ballare. Quindi che facessi poco la disinvolta. Potevo anche fingermi un bambino vero, ma restavo pur sempre un ciocco di legno intagliato. Ovviamente mi sono rifiutata di andare, ho declinato l'offerta con un meccanico "no, grazie" e sono rimasta lì a dondolare come la gonnellina di paglia di quelle bamboline hawaiane che si tengono sul cofano della macchina, cercando di camuffarmi tra una folla diventata nuovamente ostile, giudicante, sprezzante. Di colpo sono tornata Cenerella, il mio corpo si è ricordato di essere un fascio di nervi scoperti, e tutti i miei pori si sono dilatati in un effluvio di sudori freddi ad effetto detox che neanche un mese di sauna avrebbe potuto produrre. Mancavano giusto i topi e la zucca, per completare il quadro. Ancora una volta, solo il mio amore nerd e la mia tradizionale avversione per le imbarazzanti fughe precipitose mi hanno impedito di concludere la serata al rintocco della mia personale mezzanotte. Ma l'idea di nascondermi dentro un'intercapedine del muro mi ha sfiorato più di una volta. Questo, signori, è l'effetto Cenerentola: una randellata sui denti data da un rugbista, il risveglio deluso di Linus dopo una notte nel campo di zucca in attesa del Grande Cocomero.  L'effetto Cenerentola è il ritrovarsi nei propri panni - fin troppo stretti - dopo aver assaporato la vita da fashion blogger tutta lipgloss e sicurezza. Ci ricadiamo tutte le volte, non impariamo mai. Colpa della incrollabile fiducia che ci tiene in piedi ogni giorno come per altri fa la caffeina, certo, ma anche perché, ogni giorno, ad ogni passo in quel mondo spaventoso, sconfiggiamo il Serraglio, briciola per briciola, riducendo sempre di più le volte in cui si produrrà l'effetto Cenerentola. Così, un giorno, il caleidoscopio si rivelerà davanti alla prospettiva di una cena con gli amici, restituendovi alla vostra cameretta, ma un giorno, vi potreste ritrovare a svegliarvi dal sogno in una discoteca in cui, pochi anni prima, non avreste mai neanche sognato di mettere piede.

Duille


2 commenti:

  1. Leggendo i tuoi post, mi rendo conto di quanto l'ansia sia effettivamente debilitante per te (e di quanto tu sia brava a scrivere, en passant). E mi rendo conto di come per me non sia precisamente così. L'ansia è sicuramente una componente della mia vita, ma l'Effetto Cenerentola mi colpisce per altre via e più che altro si lascia alle spalle molta amarezza. Più che altro, è legato a un brutto carattere, a un'insicurezza divorante e ai mille e più difetti che mi limitano e combatto ferocemente. Penso di aver vinto la battaglia, di aver abbattuto i muri, ma poi mi rendo conto che... non è vero.
    Io non sono mai stata in discoteca e, sinceramente, non ci tengo troppo. Forse da più piccola, ma il mio carattere me l'ha sempre impedito, quella solitudine che mi accompagna da sempre. Per cui, in un certo senso ti capisco. Capisco la frustrazione, più che altro, e il disagio. A volte mi chiedo se non sarebbe meglio parlare di certe cose con uno specialista, poi ci ripenso, mi sento ridicola, l'ennesima ragazza senza veri problemi che se ne inventa alcuni per sentirsi speciale. Solo che ho l'impressione di star perdendo tante occasioni e di starmi lentamente seppellendo in me stessa. Tu hai mai pensato di parlarne con qualcuno (se non sono troppo indiscreta)?

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    1. Cara Virginia, intanto scusa per la risposta in super ritardo, ma gli esami mi hanno divorato! Parlando di cose importanti, io non credo che tu debba vergognarti di sentirti come ti senti, né di dover rinunciare a parlare apertamente delle tue sensazioni solo perché "non sono abbastanza gravi". Se ti senti sola, frustrata o in sofferenza per qualche motivo che magari non sai spiegare neanche a te stessa, allora hai diritto di chiedere aiuto e di non dovertene giustificare. So bene che viviamo in una cultura in cui solo le persone gravissime hanno il diritto di stare male, mentre le altre vengono etichettate semplicemente come delle deboli che non sanno spronarsi sufficientemente. Fa parte della nostra cultura prestazionale. O hai successo o sei un fallito. Non esistono le mezze misure. Ma in realtà, le mezze misure esistono, così come esistono diversi tipi di ansia. Il fatto che tu non ti identifichi totalmente nelle mie descrizioni, non vuol dire che allora tu non hai nessun problema e ti stai lamentando del niente. Vuol dire semplicemente che sei un po' diversa da me in alcune cose, come io sono diversa da qualcun altro che ha livelli d'ansia più alti dei miei. Questo non ci rende meno in diritto di stare male o di chiedere aiuto. Ci rende diversi. E adesso ti parlo anche da futura psicologa, dato che è la mia professione: nessun professionista ti dirà mai che quello che senti è sbagliato o ti sminuirà, quindi se ne senti il bisogno, affidati con serenità, perché se c'è un luogo in cui non verrai giudicata, è proprio lo studio dello psicologo. E, parlando di psicologi, ti posso dire che sì, io non solo ho pensato di parlare con uno specialista, ma sono in terapia da parecchi anni e credo che sia stata la scelta migliore della mia vita. Mi sta aiutando tantissimo, dalle cose grandi alle piccolezze. Un esempio? Questo blog non esisterebbe se io non avessi iniziato la terapia. Avevo troppa paura del giudizio degli altri per potermi arrischiare di scrivere qualsiasi cosa, figuriamoci parlare di ansia. In ogni caso, se ti va di parlarne più nel dettaglio, contattami pure privatamente, su facebook o via mail. Mi farebbe molto piacere parlare con te. ^_^ Un bacione fanciulla!

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Eccomi! Sono una scrittrice in erba, divoratrice di libri, sognatrice professionista e ansiosa sociale multicorazzata. Ho la fissa dei ricordi, la testa fin troppo tra le nuvole, interessi disordinati, un amore impossibile per gli alberi e una passione al limite del ridicolo per le serie tv. Ah, e le presentazioni non sono proprio il mio forte. Si vede?

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