lunedì 5 marzo 2018

Ansia di (da) voto

Noi ansiosi sociali, sulla base della mia esperienza da cavia, siamo creature che hanno bisogno di solide routine, talmente solide da potercisi sbattere agevolmente contro e da renderci quasi incomprensibili quei film horror basati sui loop temporali. Costruire una routine non è cosa da poco: esige fatica, sudori freddi, tachicardiche esplorazioni e tanto tempo sulla graticola prima di riuscire a cucirsela addosso. La ripetizione del sempre uguale è la chiave di questa impresa eccezionale.

Quando, quindi, la routine si rompe e subentra un evento nuovo, anche se a sua volta fagocitabile nella routine, si ha un effetto alla Guerra dei Mondi, con tanto di Carmina Burana in sottofondo. E non si creda che gli scardinatori della routine debbano avere le proporzioni di mastodontici martelli militareschi alla The Wall, pronti a marciare minacciosamente sulle nostre esili abitudini di carta di riso. Per un ansioso sociale, basta lo starnuto di  una pulce a ribaltarlo come dopo un giro nella centrifuga. Un esempio per tutti: le votazioni elettorali. Che siano quelle nazionali, comunali o destinate alla scelta del colore dei cancellini delle lavagne, la percezione che producono è sempre la stessa: un abuso di potere non necessario e sadicamente lesivo della nostra già fin troppo provata psiche. Non importa che si sia un attivista da centro sociale o un sostenitore fin dalla culla del diritto/dovere di voto. Qualsiasi ansioso sociale, anche il più motivato, proverà sempre paura e astio per il rituale del voto. Ad occhi profani questa nostra ambivalenza emotiva potrà sembrare una incomprensibile incoerenza, spiegabile solo facendo appello a quella dicotomia freudiana tra conscio ed inconscio o, più pragmaticamente, affidandosi alla celebre metafora dal balcone fuori dall'edificio o del cavallo all'esterno della stalla, a seconda delle influenze urbane o agricole. In fondo, dire "sei fuori come un balcone" è semplice, chiaro e mette un bel punto definitivo alla questione, lasciando liberi di tornare a più liete faccende, come spiare il vicino di casa o colpevolizzare il fruttivendolo marocchino per le disgrazie compiute dall'Isis. In realtà però, la questione della nostra ambivalenza è facilmente spiegabile: non è l'atto civico e politico del voto a causarci l'allergia, ma il rituale sociale del recarsi alle urne e conferire con gli scrutinatori dallo sguardo annoiato per ben due volte, prima e dopo il voto. Praticamente è come chiederci una doppia panatura nell'olio bollente. Ecco, quello è il vero, unico problema: stare in mezzo alla gente mentre si è costretti ad uscire dal proprio acquario. E' scontato quindi che, se non potremo evitare di rivolgere la parola agli scrutinatori, almeno cercheremo di ridurre all'osso l'incontro con le palle degli occhi di altri ignoti votanti, recandoci alle urne negli orari più improbabili, all'alba, ad esempio, o al calar delle tenebre in compagnia dei vampiri e degli alcolisti in pellegrinaggio al bar. E come se tutta questa traumatica esposizione sociale non fosse abbastanza, va considerata anche la combo con l'ansia da prestazione.
Qualcosa potrebbe andare storto, potremmo dimenticare la matita, sbagliare a piegare la scheda, andare alle urne senza passare dal via, inciampare nelle nostre gambe, rimanere impigliati nella tendina della cabina come una mosca nella carta moschicida, squittire il nostro nome o avere un'autocombustione facciale da imbarazzo difficile da giustificare. Il risultato sarebbe l'inevitabile walk of shame che nessuno, e dico proprio NESSUNO, vorrebbe dover affrontare, soprattutto se si vive vicino al luogo del delitto. Così di solito, la missione suicida della votazione viene anticipata da mesi di preparazione maniacale, ripetizioni mantra sui passaggi da compiere nel momento dell'ingresso nel salone del dolore ("Saluta, consegna, ritira") e tentativi di contenere la subitanea trasformazione in Ghost Raiders arrugginiti. Solo l'ingresso nella piccola scatola di fiammiferi che è la cabina elettorale riesce ad apportare un momento di sollievo. E' incredibilmente rassicurante sapere di essere finalmente soli tra le confortevoli tendine di carta scura del cubotto, un po' come essere avvolti nel Mantello dell'Invisibilità potteriano, ed è tutto così sollevante da spingerci a ventilare l'idea di farci un nido dentro e andare subitaneamente in letargo. Ma questo sollievo dura poco perché, anche se la questione sociale è momentaneamente sospesa, resta pur sempre l'ansia da prestazione che svolazza sulla nostra testa come una cimice e che si traduce nelle migliaia di domande (di cui sopra) che mettono in dubbio le nostre capacità intellettive di base, eclissate però di fronte all'Unica Domanda, paragonabile solo all'Unico Anello: quanto tempo restare nella cabina elettorale? Domanda gravosa, domanda importante, domanda decisiva per le sorti del nostro prossimo futuro. Restare troppo poco suggerirebbe una certa superficialità nella decisione o alluderebbe all'idea che stiamo prendendo l'incarico elettorale con troppa leggerezza. Restare troppo, d'altro canto, potrebbe risultare sospetto, farci sembrare indecisi o semplicemente portare a chiedersi se siamo stati risucchiati in un wormhole, se siamo svenuti sulla tessera o se, in preda all'indecisione su chi votare, abbiamo commesso harakiri sfruttando la matita spuntata come katana cerimoniale. Come si può capire, le tempistiche sono importantissime per la nostra credibilità di elettori, ma soprattutto per garantirci buone probabilità di uscita dal vespaio sociale delle votazioni senza grossi danni. Un bel respiro profondo (facciamo due) e via, si scosta il Mantello dell'invisibilità e ci si lascia risputare nel mondo, si sbrigano le ultime faccende burocratiche ("imbuca, ritira, saluta") e ci si dilegua nella notte, con tanto di nuvoletta di fumo. E finalmente, potremo tornare alla nostra cabina mentale, con le sue tendine di abitudini e la sua rassicurante, penombrosa ripetitività di carta. Sperando che nel frattempo, non cada il governo.
Duille



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Eccomi! Sono una scrittrice in erba, divoratrice di libri, sognatrice professionista e ansiosa sociale multicorazzata. Ho la fissa dei ricordi, la testa fin troppo tra le nuvole, interessi disordinati, un amore impossibile per gli alberi e una passione al limite del ridicolo per le serie tv. Ah, e le presentazioni non sono proprio il mio forte. Si vede?

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