domenica 25 febbraio 2018

Metamorfosi

L'adolescenza è un momento né carne né pesce. Si cresce ma non abbastanza, si è responsabili, ma non del tutto pronti per esserlo. Si vuole di più, ma si è intrappolati in un presente troppo spesso fatto di freddo acciaio ricoperto di cera bollente. Guardando indietro, con lo sguardo dell'oggi rivolto al passato, mi rendo conto che l'adolescenza, anche la mia adolescenza, è stata anche il tempo delle promesse fatte a se stessi. Si era tutti protesi in avanti, verso un futuro da costruire che, in molti casi, era anche l'unica consolazione ad un presente sofferto e stringente, da cui non sembrava esserci via d'uscita se non quella dell'attesa e della resistenza. Il futuro, in adolescenza, era una promessa tenuta in punta di dita.
A volte, per crederci davvero, perché le radici affondassero in profondità nella terra umida, diventava necessario, anzi, indispensabile, urlare questa promessa a gran voce, cantarla, danzarla, farla esplodere nello spazio fino a farlo riecheggiare su ogni superficie. In fondo, era il manifesto di un'identità ancora in divenire, la chiave di catene invisibili che ci si portava addosso tutti i giorni, sotto allo zaino carico di libri di scuola. A volte queste esplosioni erano forti, pirotecniche, bellissime come cigni o potenti come ringhi di tigri. Altre volte, però, erano sommerse, ittiche, come una bolla d'aria che affiorava sul pelo dell'acqua e che alludeva l'esistenza di altro, sotto la superficie, qualcosa di cui nessuno si accorgeva. Ma che, comunque, esisteva. Era il manifesto dei timidi, degli introversi, degli insicuri, dei poeti nascosti sotto maglioni sformati e occhiali rotondi. A volte, era così importante, quella promessa di futuro, da non poter nemmeno essere sussurrata all'orecchio dell'acqua. Era così determinante, da diventare un segreto da avvolgere in una pergamena e nascondere nel buio di un cassettino, custodito da una fata. Non poteva essere detto perché era fatto di trasparenze, di foglie di Lunaria che si spezzavano al tocco. Allora le si fissava su una pagina, le si intingeva in punta di penna e le si srotolava sulla carta, in un movimento acquoso da rigagnolo di pioggia che accompagna il fianco di un marciapiede. Le si liberava in uno spazio ristretto, che poteva essere piegato e tenuto nascosto in un taschino, all'altezza del cuore, o che poteva essere imbottigliato in una minuscola ampolla capace di contenere tutto il proprio nucleo.
Lo si lasciava celato in piena vista, come un pensiero che galleggia sulla testa e che increspa le labbra, rassicurantemente invisibile a tutti tranne che a sé. Oppure lo si proteggeva, custodendolo in un angolo remoto di un luogo misterioso, accessibile solo con una mappa scritta nel linguaggio delle suggestioni e delle fantasticherie ad occhi aperti. In ogni caso, ovunque questi segreti fossero celati, restavano in attesa. Aspettavano di liberarsi dalla pagina e di aprirsi a ventaglio sulla realtà, coprendola tutta, aderendovi come un guanto fino a sciogliervisi dentro, una pagliuzza di grafite dietro l'altra, cambiandone la trama, arricchendone i colori. E quel giorno sarebbe arrivato, quando ormai ci si fosse dimenticati di quel foglio sgualcito addormentato in un letargo apparentemente eterno. Quel giorno arriva, magari dopo anni di buio, sia nel cassetto che fuori, dopo stagioni di dubbi, cadute e lotte al limite del sopportabile, dopo attimi senza fiato fatti di speranze vacillanti sostenute solo da una determinazione disperata. Quel giorno è arrivato, e ci trova di nuovo, come allora, davanti a quel cassetto, di fronte a quel foglio di pergamena ancora intatta, sebbene sottilissimo, faccia a faccia con quelle parole, alla mano che le scrisse, al braccio che sostenne l'impresa, al collo piegato in atto di devozione, al mento silente, alle labbra ermetiche ed al naso sospirante. Ci trova ad indugiare davanti al ricordo di quegli occhi adolescenti di cui resta ancora una traccia e, più in alto, davanti al fantasma di quella fronte concentratissima, dietro cui brillavano, come lucciole, i pensieri, solo per un attimo, prima di scorrere veloci nelle terminazioni nervose, per iniziare la loro metamorfosi da bruco a crisalide cartacea. E riguardandosi, iride dell'oggi nell'iride di ieri, si può sorridere, complici di se stessi, consapevoli, per la prima volta fin nelle ossa, di essere gli artefici di questo miracolo definitivo, del traguardo raggiunto, della prima conclusione di una grande, personale metamorfosi: il volo della farfalla.   
Duille



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Eccomi! Sono una scrittrice in erba, divoratrice di libri, sognatrice professionista e ansiosa sociale multicorazzata. Ho la fissa dei ricordi, la testa fin troppo tra le nuvole, interessi disordinati, un amore impossibile per gli alberi e una passione al limite del ridicolo per le serie tv. Ah, e le presentazioni non sono proprio il mio forte. Si vede?

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