domenica 20 maggio 2018

Capitolo 24: L'una e l'altra

Quando penso a L'una e l'altra, di Ali Smith, non riesco a togliermi di mente la stessa immagine: una fila di perle tenute insieme da un filo di nylon. C'è un inizio che incontra una fine ed una fine che incontra un inizio, come una collana che si chiude intorno ad un collo. Ci sono due storie che si intrecciano senza intrecciarsi mai, la storia di una pittrice ferrarese del 1400 che si finge uomo per poter dipingere, e la storia di una ragazza dal nome maschile che ha perso sua madre e che finge di stare bene quando crede di non sentire niente perché in realtà sente troppo.
steli d'erba- il mondo segreto sotto il pavimento
Ci sono due vite molto diverse: la vita votata all'arte, coraggiosa, intrepida, anche un po' sfacciata, e la vita annullata dal dolore, piena di buchi, di strappi e pareti che marciscono dietro vecchi poster. C'è la storia dei colori, degli azzurri veneziani e degli ori, e la storia della perdita di ogni colore, il dominio del nero, della muffa che cresce dentro e fuori. E poi l'immagine nella mia mente cambia e le perle iniziano a sfilarsi dal loro filo di nylon, una dopo l'altra, lentamente. E' quello che succede anche al mio libro di biblioteca: l'inizio e la fine si sfilano e mi rimangono in mano. Non si staccano, non si strappano, ma si sfilano, come se non fossero mai state attaccate a nulla, come se fossero fascicoli da portare via. La fine e l'inizio, per la precisione. Potrei attaccarle insieme e si formerebbe una nuova storia. O la stessa storia. Ed è un po' la sensazione che mi dà questo romanzo. Un bel collier di perle che si perde nella mia incomprensione. Perché la narrazione di Ali Smith è perfetta, un flusso di coscienza capriccioso come solo il pensiero può essere, una vera collana di perle che, a mio avviso, racchiude il pregio e il difetto dell'opera. Si salta infatti deliziosamente da una perla alla successiva, sentendo tutta la distanza che le divide, guardando il vuoto in mezzo, il filo di nylon, la frase tronca, lo spazio bianco. Ci si lascia prendere dal flusso di un pensiero che perde i vincoli temporali e addirittura la sintassi, un esperimento alla Joyce che funziona alla perfezione. Ci si immerge nella storia di un fantasma del 1400, che era femmina ed era maschio, l'una e l'altra cosa, ma che in fondo, forse, era solo lesbica. Ci si perde nel lutto di una sedicenne che ha perso la madre e che, suo malgrado, deve continuare a vivere. Ci si muove tra gli affreschi all'uovo del pittore ferrarese e la puntigliosità grammaticale della sardonica studentessa. Eppure. Eppure tutto è sfiorato, tutto è accarezzato e mai toccato. La vita di una pittrice che fu costretta ad essere uomo per essere presa sul serio, il dolore di una morte improvvisa che non si riesce ad elaborare. Ma qual è il punto? Cosa ci vuole dire l'autrice?  
l'una e l'altra
Le perle si vedono, ma si vede troppo anche il vuoto che le separa l'una dall'altra, vuoto che gradualmente si inizia fastidiosamente a sentire. E l'una non è più anche l'altra, ma solo due realtà separate che non si fondono mai insieme. Così ho la sensazione che le perle non siano la metafora giusta, perché, più che perle, quelle che leggo sono gocce di rugiada su una ragnatela. Avrei voluto guardarci dentro, a queste gocce, capire come ci si sente ad essere acqua, cosa si vede, se si prova freddo. Volevo vedere il mondo alla rovescia, i confini allungati, il morso del dolore, la sensazione della solitudine di un segreto inconfessabile di cui tutti erano già a conoscenza e, per questo, ancora più inconfessabile. Volevo annegarci dentro e uscirne viva per miracolo. E invece si vedono i fili, si evita di bagnarsi, ci si perde in discorsi profondi che suonano laminati e in descrizioni pittoriche che sembrano compiacersi di se stesse ma dimenticare il senso, si arriva vicino ma mai al cuore. Forse il problema è che si è voluto essere per forza l'una e l'altra cosa, il dialogo filosofico e l'emozione più pura, la pittrice e l'orfana, lo stile e il contenuto. E per essere l'una e l'altra cosa, in 312 pagine, si è finito con lo sfiorare tutto e non toccare niente. Alla fine non è rimasta che l'ombra di un ricordo che sparirà al primo raggio di sole. Un inizio e una fine che si sfileranno via dal volume, una serie di perle che spariranno sotto il letto. O forse, semplicemente, sono io che non ho capito niente (cosa molto, molto probabile).  
Duille

"L'arte non fa succedere niente in un modo che fa sembrare che sia successo qualcosa". 



2 commenti:

  1. Sono stata contenta di leggere una tua recensione più approfondita dedicata a questo titolo. Anche se l'ho sentito nominare spesso, ammetto di non essermi mai soffermata ad ascoltare veramente l'opinione dei lettori, perché è uno di quei libri che a pelle non mi suscitano alcuna curiosità. La trama ha il suo fascino, però ho la sensazione di non perdermi nulla, non leggendolo. Quanto hai scritto qui mi rassicura ulteriormente su questo punto. Se fossi uscita da questa lettura super entusiasta, mi sarei sicuramente ricreduta e ci avrei fatto un pensierino!
    Spero che le letture successive si stiano rivelando più stimolanti!

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    1. Ciao Julia, grazie per il tuo commento e soprattutto sono molto contenta che tu abbia trovato utile la mia opinione su questo titolo. Devo dire che, dopo aver sentito parlare entusiasticamente di questo libro, sono rimasta un po' delusa...non ho visto tutta l'originalità che tutti osannavano e anche la storia mi è sembrata un po' poco approfondita. Però va beh, de gustibus! :D

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Eccomi! Sono una scrittrice in erba, divoratrice di libri, sognatrice professionista e ansiosa sociale multicorazzata. Ho la fissa dei ricordi, la testa fin troppo tra le nuvole, interessi disordinati, un amore impossibile per gli alberi e una passione al limite del ridicolo per le serie tv. Ah, e le presentazioni non sono proprio il mio forte. Si vede?

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