domenica 4 novembre 2018

Fuori sincrono

 Immaginate un coro pronto ad iniziare la sua performance canora. I cantanti sono tutti lì, ordinatamente in schiera come birilli pronti a ricevere uno strike, nei loro abiti fotocopia e negli sguardi impassibili da monaci tibetani, in attesa del segnale di partenza dato dal direttore d'orchestra. E quando il via arriva, ogni componente prende fiato nello stesso momento, come se ciascuno fosse una cellula dello stesso polmone, e in un secondo, esplode la voce, nella più perfetta sincronia. 
Immaginate adesso che in quel flusso sonoro calcolato al millisecondo, tutto diapason e metronomo, si senta un ritardo o un'anticipazione, magari impercettibile ai non addetti ai lavori, ma rumorosa come un pescivendolo in biblioteca per i compagni canori. Un fuori sincrono ben riconoscibile che presto porterà le teste ordinate dei cantanti a voltarsi verso una direzione precisa. Che guarda caso, è la nostra. Vi lascio immaginare la conseguente quanto scontata vergogna, l'imbarazzo e il desiderio disperato di trasformarsi in struzzo (sia per la folkloristica questione "testa nella sabbia" sia per la più scientifica dote da velocista dei suddetti pennuti tutto gambe). Questa è, in sostanza, la sensazione che vive tutti i giorni un ansioso sociale. Senza la parte del coro, naturalmente. Noi ansiosi ci sentiamo perennemente fuori sincrono, leggermente indietro o in avanti rispetto alle lancette interiori delle altre persone, come se fossimo immersi a bagnomaria in un fuso orario diverso. Siamo come una videochiamata su Skype afflitta da un irrisolvibile ritardo, per cui a battuta o domanda seguono secondi di imbarazzante sospensione, con sorrisi incerti che galleggiano nell'etere e microperle di sudore che ammazzano il tempo giocando a partita di Zuma sulla fronte, fino al momento in cui misericordiosamente arriva la risposta o la risata, frantumando il nervosismo ed il silenzio. Ma, in pratica, cosa significa essere fuori sincrono? Diciamo che l'ansioso sociale è afflitto da due piani di asincronia, uno macroscopico, che chiameremo Rivoluzione, per omaggiare Mamma Terra, ed uno microscopico, che, indovinate un po', chiameremo Rotazione (dieci punti a Grifondoro per chi ha indovinato). La Rivoluzione riguarda il nostro ciclo vitale da bruco, la nostra crescita verso una possibile trasformazione in farfalla cavolaia (perché aspirare a diventare delle Vanesse sarebbe come chiedere ad una mucca di farsi spuntare le ali). Qui lo sfalsamento temporale si manifesta nel fare le cose in tempi diversi,  spesso più lentamente, nel raggiugere il traguardo quando le luci sono già spente e tutti se ne sono andati e nell'arrivare a consapevolezze cosmiche che per gli altri sono già storia vecchia. In sostanza, significa essere sempre in ritardo, come il Bianconiglio. Se la Rivoluzione però spesso ci accoglie più preparati al nostro destino da roditore, la Rotazione è sovente uno schiaffo in faccia di consapevolezza non gradita, perché riguarda il piano delle interazioni sociali e quotidiane, causa dei nostri più grandi pianti autocommiseranti. 
Qui essere asincronico significa arrivare in anticipo o in ritardo al proprio turno di parola, sovrapporsi all'altro nel parlare, non capirsi mai al volo, non avere la prontezza di offrire il compassionevole salvagente della risata di cortesia davanti a battute incomprensibili come un cubo di Rubik o palesemente brutte come un centrotavola a forma di caciocavallo. Significa anche non riuscire a fare gruppo nei momenti goliardici e faticare a trovare uno spazio di silenzio in cui infilare una frase faticosamente pescata nel fondo di un cassetto della nostra mente e che, per qualche motivo, ci sembra adeguata alla situazione. Insomma, non riusciamo mai a fare parte di qualcosa più grande di noi, non riusciamo ad essere uno dei pastelli nel set di matite o l'ingranaggio all'interno di un meccanismo. Si resta a margine, come una parola scritta sul bordo di una pagina e che si perde di vista. E alla fine, un po' per necessità, un po' per ridurre l'imbarazzo di tutti, finiamo col rimanere in silenzio e limitarci ad occupare quello spazio di confine tra il tempo degli altri e il nostro al quale sembriamo essere condannati. E' un po' come cercare di inserire una pagina nuova tra due pagine contigue dello stesso capitolo: è faticoso, richiede moltissimo impegno e non sempre è possibile, tanto che ci si potrebbe chiedere se valga davvero la pena perdere minuti preziosi e neuroni indispensabili per inserire quella pagina che, in fondo, è anche un po' strana e altera tutto l'equilibrio del capitolo. E' questa una delle cose che personalmente trovo più faticose dell'essere fuori sincrono: quella patina di stranezza incomprensibile che vediamo attribuitaci dall'occhio del nostro interlocutore, quello sguardo dubbioso e perplesso che leggeremo sempre negli occhi degli altri all'ennesima volta in cui mancheremo il colpo, salteremo la battuta, resteremo muti invece di avere la reazione attesa, fraintenderemo il comando o risponderemo troppo tardi all'esortazione. Qualcosa non quadra, se ne rendono conto anche loro, e non capiscono cosa sia: siamo lenti di comprendonio, goffi come pinguini sugli scogli, eremiti a cui è stato concesso un giorno di permesso o siamo semplicemente incompatibili? Alla fine, di solito, le persone decidono che a loro, in fondo, non importa sapere se siamo impacciati come un bambino a cui hanno annodato tra di loro i lacci delle scarpe o se siamo alieni venuti da un altro pianeta e vestiti con un Edgarabito. La verità è che non sono abbastanza in confidenza con noi e, d'altro canto, non siamo neanche così interessanti da stuzzicare la loro curiosità, così alla fine ci lasciano nel nostro margine, ad un passo dall'entrare in un insieme del diagramma di Eulero Venn ma sempre con quella caratteristica X che ci lascia fuori. E sia chiaro, non c'è niente da rimproverare o condannare in questo comportamento perché sarebbe come giudicare un ascoltatore perché preferisce la musica tonale a quella dodecafonica di Schonberg che, diciamoci la verità, sarà anche famosa ma è ascoltabile quanto un violino stonato sparato a tutto volume. 
E' più facile e più rilassante stare con le persone simili a sé, piuttosto che faticare, magari per nulla, dietro a persone comprensibili come un puzzle smontato che, una volta ricomposto, potrebbe rivelarsi solo una rappresentazione di natura morta. Vale la pena rischiare, quando neanche le premesse sembrano giocare a nostro favore? In fondo, è una domanda legittima. Una volta capito cosa significhi essere fuori sincrono e aver affrontato il dilemma morale dell'interlocutore, resta una sola domanda da porsi, la domanda del giornalista d'assalto e del Poirot più navigato: perché siamo così caparbiamente fuori sincrono? La risposta a cui sono arrivata io, nell'infinita saggezza di anni di rimuginii è che, alla base di tutto, ci sia sempre lei, la nostra Voldemort personale: l'ansia. E' lei a farci tentennare, aspettare, soppesare per la milionesima volta i pro e i contro e, in sostanza, a farci accumulare secondi e minuti in un'immobilità da Pensatore di Rodin in ciccia e nevrosi. Valutiamo il valutato, e poi il valutato del valutato, e così facendo perdiamo tempo, rallentiamo le tappe e ci perdiamo nei bicchieri d'acqua, nel tentativo di controllare i nostri bisonti emotivi, di nascondere il disagio e l'insicurezza, in una parola, nel tentativo di essere perfetti. Ma in fondo, mi dico, se Schonberg è finito ad essere osannato nei libri di storia della musica per aver creato una tecnica strumentale piacevole come il pianto di un gatto alle tre del mattino, forse anche noi, più che fuori sincrono, siamo avanguardisti in attesa di essere scoperti. O forse dobbiamo solo darci una calmata e smettere di farci ispirare dagli spot della Nike per costruire i nostri obiettivi di vita. Basta quindi esigere l'impossibile ed iniziare ad accettare una buona volta che l'imperfezione è forse l'unica cosa che davvero ci rende uguali agli altri e che ci permetterà, una volta per tutte, di coronare un sogno ed entrare in uno degli insiemi di quel dannato diagramma di Eulero Venn. 

Duille


3 commenti:

  1. Una descrizione meravigliosa di una sensazione che conosco fin troppo bene.
    Come sempre sei una delle persone che preferisco leggere! ❤

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    1. Adele, grazie mille! Sei troppo carina! E sono come sempre indecisa se essere triste o contenta del fatto che tu possa capire questa sensazione così particolare… diciamo che sono tristemente contenta, così non sbagliamo! Ti mando un bacione stellina. Seguo le tue nuove avventure con una gioia esondante! <3

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  2. Ciao Fedy, grazie per essere passata dalle mie parti e aver lasciato il tuo link. Ti verrò a trovare prestissimo! :) Nel frattempo ti mando un grande bacio!

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Eccomi! Sono una scrittrice in erba, divoratrice di libri, sognatrice professionista e ansiosa sociale multicorazzata. Ho la fissa dei ricordi, la testa fin troppo tra le nuvole, interessi disordinati, un amore impossibile per gli alberi e una passione al limite del ridicolo per le serie tv. Ah, e le presentazioni non sono proprio il mio forte. Si vede?

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