domenica 3 marzo 2019

Essere un ornitorinco

Sono sempre stata attratta dal concetto di ossimoro: l'accostamento, nella stessa frase, di parole che esprimono concetti opposti, come "lucida follia", "sprofondare verso l'alto", "birra analcolica" o "hamburger vegano". Gli ossimori fanno risaltare le parole, le fanno emergere come sottomarini tedeschi della Seconda Guerra Mondiale davanti alla spiaggia di Rimini in un agosto del 2018. Non puoi non notarle. 
Forse mi piacciono così tanto perché a mia volta mi sono sempre sentita ossimorica, ma non in un modo elegante e poetico come i veri ossimori, ma più in un modo alla dottor Jeckyll e Mr. Hyde, senza la parte all'arancia meccanica, ovviamente. Io, ad esempio, sono una persona fondamentalmente timida, come un coniglio uscito di malavoglia dal cappello, ma allo stesso tempo sono combattiva come un granchio a cui hanno fatto girare le chele, sono riservata come un politico davanti ad un giornalista ma con sogni da pop star di un teen drama. Mi imbarazza essere notata ma mi piace vestirmi con abiti dai colori impossibili e dalle inclinazioni romanticamente vintage e possibilmente fantasy. Un controsenso ambulante, insomma. Mi sono sempre sentita doppia, ma non come le figurine dei calciatori. Il mio doppio non ha mai avuto niente di gemellare ma era più come cercare di far coesistere nello stesso acquario dei pesci d'acqua salata e dei gamberi di fiume. C'entravano come i proverbiali cavoli a merenda. Con il tempo mi sono fatta l'idea che fosse tutta colpa dell'ansia sociale, che era lei a compormi di parti opposte che sembravano c'entrare tra loro come un attivista vegano ed il cacciatore Van Pelt di Jumanji. Credevo di essere come quegli edifici in ristrutturazione, completamente annegati dietro impalcature di acciaio che lasciano solo intuire le forme e che nascondono le decorazioni pittoriche intorno alle finestre ed i bassorilievi dei sottotetti. Io ero quella dietro l'impalcatura, che allungava il collo per avere una visuale migliore e che ogni tanto stendeva un braccio stracarico di braccialetti per guardarli luccicare al sole. Io ero quei braccialetti. In parte sono ancora convinta di ciò, perché quando si è così strettamente intrecciati ad un sintomo, come può essere quello dell'ansia, diventa difficile capire cosa ci appartenga davvero e cosa invece sia farina della sua saccoccia angosciata. Per anni ho cercato di leggere le mie etichette e capire cosa fosse made in Duille e cosa fosse prodotto nelle piantagioni ansiogene del mio personale Delta del Mississippi. Ma presto ho capito che, più che Spiderman e Venom, io ero più simile ad Yu e Creamy. Non si trattava di eliminare un alieno venuto dal cosmo con difficoltà a comprendere il concetto di spazio personale, ma di fare i conti con la doppia versione di me stessa, la cantante desiderosa della fama e la ragazzina un po' impacciata che non si filava nessuno (a parte Midori, naturalmente). La mia raccolta differenziata interiore puntava a separare parti che mi appartenevano entrambe, anche se un entrambe fatto di opposti che si scontrano tra loro come due atomi dentro l'acceleratore di particelle del Cern o come gatti rabbiosi che si soffiano e si mandano inequivocabili minacce di morte passandosi un dito artigliato lungo il collo. 
La mia ansia non è arrivata dallo spazio, né mi è stata iniettata come il virus G di Resident Evil 2, ma è figlia mia, anche se sicuramente uno di quei figli che metti al mondo e che poi, giunti all'adolescenza, non riconosci più perché "non sono questi i valori che gli avevi insegnato". Capite bene che la situazione si fa abbastanza inquietante se consideriamo che quei due felini che si strappano i peli di dosso sono entrambi partoriti dalla stessa mente. Davvero per niente preoccupante. Compresa questa scioccante verità, la domanda si è fatta ancora più stringente: se sono entrambi gli opposti, io cosa sono? "Non è cane, non è lupo, sa soltanto quello che non è" diceva l'oca di Balto. E neanche io so bene se sono cane o lupo, pur avendo fatto la mappatura completa del mio pelo irsuto. Perché qui non si parla di conoscersi poco o superficialmente, ma di un'irriducibile contrapposizione da malattia autoimmune, in cui, nel tentativo di proteggersi, si finisce col farsi fuori da soli. Significa essere bianco e nero ma non in un modo inclusivo alla Amnesty International, ma più alla figli di immigrati di seconda generazione che, pur essendo nati, cresciuti e pasciuti nel nostro paese, sono persi tra due identità e appartenenze culturali che non sembrano mai calzare loro perfettamente, pur appartenendogli entrambe. Ma se sono entrambe, se sono il bianco e il nero, il vegano e il Van Pelt, allora cosa sono? Cosa dovrei inserire nel mio biglietto da visita esistenziale? "Indecisa cronica"? "Eterno Work in Progress"? O magari un più onesto "Fate voi"? A volte però mi chiedo, date le premesse, se abbia davvero senso continuare a chiedersi se sono formaggio stagionato o crescenza o se preferisco i gatti o i cani. Ha senso cercare di scegliere tra Sé e Sé? Non diventa una specie di scelta di Sophie? Forse, proprio come un ossimoro, anche noi, che siamo divisi tra lo yin e lo yang, splendiamo proprio nell'opposizione che ci confonde tanto, come un mosaico a contrasto o un quadro di Caravaggio che punta tutto sul gioco di luci ed ombre. Forse siamo qualcosa di improbabile che ha perfettamente senso, come una banana flambé o un disegno di Escher. Forse siamo ornitorinchi. E allora non ha senso continuare a domandarci se siamo mammiferi o pennuti perché siamo entrambe le cose o magari qualcosa che non ha ancora un nome. Un ossimoro, appunto. E allora saremo timidamente estroversi, teatranti invisibili, cinici ottimisti, comici spaventati guerrieri, come direbbe Benni, sognatori con i piedi per terra, esibizionisti sotto copertura, ballerini sordi. Ornitorinchi, appunto. Di conseguenza, la domanda cambierà e inizieremo a chiederci che verso faccia l'ornitorinco. Ma questa sarà tutta un'altra storia.
Duille



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Eccomi! Sono una scrittrice in erba, divoratrice di libri, sognatrice professionista e ansiosa sociale multicorazzata. Ho la fissa dei ricordi, la testa fin troppo tra le nuvole, interessi disordinati, un amore impossibile per gli alberi e una passione al limite del ridicolo per le serie tv. Ah, e le presentazioni non sono proprio il mio forte. Si vede?

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