domenica 4 dicembre 2016

Estetica del fan service

Ogni generazione, fin dall'alba dei tempi, si è identificata in un elemento pop che la rappresentasse: i pantaloni a zampa degli '70, i terribili brillantini e i capelli cotonati degli anni '80, i cartoni animati che lasciavano indelebili dubbi esistenziali degli anni '90, le serie tv degli anni 2000. Probabilmente l'uomo di Neanderthal, se interpellato, si sarebbe orgogliosamente identificato nella sua pelle di mammut. Di fronte a questi sacri mostri generazionali, tutto il sistema di intrattenimento si è ingolosito al punto da cercare di inserirlo nei suoi prodotti, sotto l'insegna dei bei tempi andati. Niente infatti vende quanto un bel ricordo.
Ciò è particolarmente vero quando si parla di prodotti cinematografici e televisivi, che hanno sempre raccolto intorno a sé fan affezionatissimi, almeno quanto i vecchietti davanti ai cantieri aperti. Era nato il fan service, anche se ancora nella forma di un segreto di marketing. La situazione è poi esplosa negli ultimi anni, diventando argomento di punta nei social, nell'internet e forse anche dal barbiere. Non è un caso infatti che questa sia l'epoca dei remake, dei sequel e di svariati tentativi di riesumazione di mummie a diversi stadi di decomposizione. Rispuntano eroi da fumetto in statuari corpi nuovi fiammanti, guerrieri intergalattici con qualche chilo di troppo, mondi magici che strizzano l'occhio a studenti ormai cresciuti e che continuano ad aspettare una certa lettera via gufo. Il fan service è diventato il condimento principale di ogni opera omnia che si rispetti, nascosto nelle pieghe della trama o sbandierato come una sorta di piffero magico a cui, diciamoci la verità, nessun bambino che fu può resistere in alcun modo. Il problema del fan service è però quello di essere uno strumento potenzialmente distruttivo, come l'altofuoco o, per uscire un attimo dalle mie ormai stantie metafore del Trono di Spade (scusatemi), come una clava infuocata nelle mani di un  poco esperto giocoliere.
Mettiamola così: il fan service è come un neo: può regalare un look attraente alla Marilyn Monroe oppure trasformare tutto il pacchetto in una versione, molto meno sexy, di Bruno Vespa. Dipende tutto da quanto ci si lascia prendere la mano e, naturalmente, da quale materiale si parte. Il fan service infatti deve essere un tocco in più ad un prodotto che si tiene in piedi da solo, è una spilla che si appunta sul petto per rendere tutto un po' più bello, ma di cui si potrebbe anche fare a meno. Purtroppo invece troppo spesso il fan service diventa la colonna portante dell'intera narrazione, cercando di nascondere carenze di trama e una evidente mancanza di idee sotto estenuanti riferimenti alle opere precedenti, quando non addirittura un palese intento di lucro, celato sotto uno stile narrativo che profuma dei tempi che furono, ma che serve solo a coprire la puzza dei soldi. Spesso funziona, diciamolo, ma ai più attenti non sfuggirà una certa noia di fondo durante la visione e la sensazione che qualcosa proprio non vada. Uno scorfano resta uno scorfano anche se gli mettiamo un papillon.  Infatti un buon uso del fan service può fare il miracolo oppure nascondere malamente un fumo privo di arrosto: riesce a trasformare un prodotto semplicemente godibile in un vero capolavoro, come ci insegnano opere come Star Wars, il risveglio della forza, che ci ha regalato momenti di grande commozione, o Stranger Things, che ha saputo infarcire tutta la narrazione principale di riferimenti al mondo degli anni '80, creando un prodotto mozzafiato.
Queste due opere hanno in comune una cosa: tutti i riferimenti inseriti sono corollari della trama principale, che ha una sua sostanza, anche in assenza di originalità (parlo di te, Star Wars). Nel caso di Star Wars soprattutto, l'inserimento dei personaggi della saga originale, panciuti e decisamente anziani, è stato sapientemente dosato, rendendoli personaggi secondari finalizzati unicamente a dare un senso di continuità con le opere precedenti. Come dire, dove c'è Han Solo, c'è casa. Molto meno ci sono riusciti gli ultimi lavori sul mondo di Harry Potter, come il discutissimo nuovo capitolo della saga o, mi spiace dirlo, il recente nuovo lungometraggio, Animali fantastici e dove trovarli, un mare di noia salvato solo dai riferimenti, del tutto pretestuosi, al Potterworld e, per fortuna, da comprimari assolutamente adorabili. Ma il cappello da somaro del 2016, dal canto mio, va decisamente a Gilmore Girls, una serie che ha saputo deludermi quanto la nuova fiamma adolescenziale di Johnny Depp e che credo sia un ottimo esempio di pessimo uso del fan service. L'ultima ministagione della serie infatti è un cocktail indigesto di tutte le stagioni precedenti, unite insieme dal niente più assoluto. Il fan service la fa letteralmente da padrone e gli sceneggiatori non si sono neanche impegnati a costruire una trama convincente, o quantomeno godibile. Camei forzatissimi, intrecci lassi e privi di senso, intere scene inutili che sono portate avanti fino al logoramento dello spettatore, solo nel disperato tentativo di restituire la magia di dieci anni prima (vedi il noiosissimo musical di Stars Hollow) e personaggi buttati nella trama come se fossero stati spinti da un treno in corsa e senza motivazioni valide. Semplicemente spuntano fuori come cimici in inverno. Insomma, ore e ore di inutilità e incredulità che neanche il fan più cieco avrebbe potuto ignorare. Si ha quasi l'impressione che gli autori abbiano messo tutti i personaggi in una scatola e la abbiano poi scossa come maracas per vedere l'effetto che faceva. E l'effetto che fa è quello di essere presi in giro ad ogni scena, senza tra l'altro compensare questo tedio infinito, a cui si sottoporrebbe solo un vero fan, con una conclusione degna di nota. In sostanza quindi, Gilmore Girls si è rivelato una scatola vuota piena di infiocchettamenti, dando ragione alla mia precedente metafora dello scorfano. Ricapitolando: per fare fan service, bisogna essere bravi, dannatamente bravi, e ricordarsi di usarlo per quello che è, un condimento ad una pietanza ben cucinata. Altrimenti ci ritroveremo a dover immaginare i cibi come i bimbi sperduti di Hook, Capitano Uncino. Con la differenza che non siamo nell'Isola che Non C'è e l'aria fritta non ha mai saziato nessuno.
Duille


2 commenti:

  1. Come sempre, cara, è un piacere leggerti!...sai mettere su schermo quello che io non riesco nemmeno a formulare nella mia testolina.. :D
    Continua così! <3

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Eccomi! Sono una scrittrice in erba, divoratrice di libri, sognatrice professionista e ansiosa sociale multicorazzata. Ho la fissa dei ricordi, la testa fin troppo tra le nuvole, interessi disordinati, un amore impossibile per gli alberi e una passione al limite del ridicolo per le serie tv. Ah, e le presentazioni non sono proprio il mio forte. Si vede?

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