domenica 23 settembre 2018

Doppi standard ovvero la sindrome della cornetta occupata

Con l'ansia sociale esistono due pesi e due misure per ogni cosa, un concetto che si può riassumere nell'ormai stantia dicotomia tu-altri: c'è quello che fai tu e quello che fanno gli altri. E naturalmente tutta una mole di aggettivi che vi gravitano intorno come satelliti circumnaviganti un pianeta. Tutto ciò che fanno gli altri è in buona misura costellato di caratteristiche positive, come lucciole intorno ad un fiore notturno. 
Tutto ciò che fai tu, ansioso sociale, invece è più simile ad una riunione condominiale di mosche intorno ad una mela. Certo, sempre di insetti si tratta, ma non c'è bisogno che vi spieghi io la differenza. Diciamo solo che le lucciole ispirano poesie romantiche mentre le mosche ispirano solo modi sempre più efficaci per stecchirle. La situazione in realtà è semplice come una scarpa con gli strappi: siamo afflitti dai doppi standard. E non mi riferisco ai doppi standard culturali, di genere o etnici. Sto parlando del doppio standard che è arrivato installato nel nostro sistema operativo, simile ad un grosso, grasso bug, tanto per restare in tema entomologico. Un bug che ci si deve essere piazzato da qualche parte nel cervello, scalzando quella porzione spugnosa di sostanza grigia che codificava le informazioni inerenti l'autostima. Perché sì, come ogni doppio standard che si rispetti, la dicotomia tu-altri fa sì che il tu in questione, ovvero l'ansioso sociale di turno, esca sempre violentemente perdente da ogni qualsivoglia valutazione. Bocciato in partenza per pessimo pedigree. Così, ad esempio, il discorso degli altri sembra avere la caratura della celebre oratoria di Martin Luther King al Lincoln Memorial di Washington, anche se il suddetto fraseggio riguarda l'opinione sull'ultima pubblicità della Muller. Se lo stesso discorso lo fai tu, ansioso sociale, più che un'oratoria sembra che ti stia uscendo dalla bocca un'orata, stecchita e di tre kili, con l'occhio sporgente, la bocca aperta in uno stupore ormai perpetuo ed il vago aroma del proverbio che ogni esponente ittico sembra portarsi dietro come un bagaglio. Se la voce degli altri è vellutata, floreale, calda come una tazza di caffè o calma come quella di un erborista, la tua voce pubblica ha le strane fattezze dell'entusiasmo del macaco o la nasalità dell'allergico cronico immerso fino alla cintola in un campo primaverile. Se gli altri fanno una gaffe, si tratta di piccoli errori che li rendono teneri come orsetti del cuore. Se la stessa gaffe la fai tu, ansioso, sei automaticamente una versione più alta e meno pieduta (ma ugualmente colpevole) di Pipino dopo aver fatto cadere l'armatura nel pozzo di Moria, causando l'inevitabile arrivo di orde di orchetti, la disperata corsa (con tanto di bestemmie) dei tuoi compagni verso l'uscita più vicina e l'epico quanto non desiderato exit di Gandalf che, subodorando il poco tempo che gli restava, ti aveva preventivamente lanciato una sassaiola di insulti che avrebbe fatto impallidire anche Vittorio Sgarbi. Ogni argomentazione altrui sembra brillantemente sostenuta e giustificata, ogni opinione è densa di sostanza e ricca di spunti di riflessioni. Ogni tua argomentazione, invece, ti avvicina sempre di più ad un Teletubbies ad un convegno di astrofisica.
"Dottoressa, cosa ne pensa delle recenti teorie sul tempo che rimetterebbero in discussione la teoria della relatività di Einstein?"
"Tinky-Winky, oooooh!"
Ecco, una cosa del genere.
Insomma, il doppio standard ci consuma come una sigaretta accesa, rendendoci insicuri, indecisi e propendenti al rassicurante immobilismo della colonna dorica, che se è rimasta in piedi dall'epoca dei greci fino ad adesso vuol dire che la sa sufficientemente lunga da essere assunta come life coach personale. In fondo sappiamo già che ogni nostro passo, ogni sillaba, ogni gesto verrà notato, additato, deriso e criticato sadicamente dal nostro Serraglio interiore.
C'è poco da fare: gli altri hanno il VIP pass per l'ingresso alla festa, il biglietto dorato per visitare la fabbrica di Willy Wonka, mentre tu sei solo il ragazzino con la bocca sporca di cioccolata che ha speso tutti i suoi risparmi per ritrovarsi con qualche chilo di troppo addosso e una carie agguerrita nel molare destro. E a questo punto, con un bug congenito nel software e una sfilza di gratta e vinci pieni di "lascia perdere, tanto non ce la farai mai", c'è solo una cosa sensata che si possa fare, per aggirare (ma non spezzare) la dicotomia tu-altri: prendere appunti. Ed è quello che facciamo, ve lo giuro, con lo zelo di uno scolaro particolarmente secchione o dell'etologo sdraiato per ore su una collinetta sabbiosa ad osservare i suricata. Studiamo, guardiamo, registriamo ogni mossa spontanea, ogni parola ed intonazione della voce altrui, ogni più piccolo ed insignificante argomento di conversazione, compresi quelli da ascensore, e poi copiamo le movenze, ricicliamo i temi per le chiacchiere da salotto, impariamo a fare domande, imitiamo il modo in cui gli altri collocano geograficamente le braccia e le mani durante le interazioni. Costruiamo un personaggio che sia il più vicino possibile alla nostra versione di noi stessi e che ci permetta di mimetizzarci come camaleonti in questa realtà di laureati in public relations, nella speranza che anche il Serraglio resti soddisfatto. Certo, il rischio di smascheramento è altissimo e questo significherà una percentuale di stress e paranoia variabile, ma alla lunga, se tutto va bene, interiorizzeremo un po' di quelle procedure e ridurremo i tempi di depressurizzazione in cui dovremo togliere il nostro Edgar-abito e lasciar respirare i pori.
In definitiva, però, se si guarda attentamente, si noterà che questa faccenda dei doppi standard nasconde, e neanche troppo bene, qualcosa che conosciamo perfettamente. Se grattiamo un po' la superficie di questa ennesima pippa mentale, troveremo sempre la stessa, identica cantilena che ci affligge da quando abbiamo scoperto l'esistenza delle emozioni complesse: sei tu ad essere sbagliato. E da lì non si scappa, non c'è trattativa che tenga né dibattito possibile. E' per questo che possiamo parlare di una vera e propria sindrome della cornetta occupata. Un tu-tu-tu accusatorio della linea, che suona a vuoto perché non c'è nessuno disponibile dall'altro lato del filo. Solo un'accusa sterile che potremo combattere in un solo modo: riagganciando.
Chissà perché, però, è sempre tanto difficile fare un gesto così semplice.   
Duille



2 commenti:

  1. Complimenti veramente bello questo racconto...
    Ma che bello questo Blog complimenti :-) diventata subito una tua nuova follower
    Se ti fa piacere e vuoi passarmi a trovare io sono Il salotto del gatto libraio

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    Risposte
    1. Ciao, grazie mille per i complimenti e grazie per essere entrata nel nostro prato di steli d'erba! Farò sicuramente un salto nel tuo blog! Nel frattempo, ti mando un bacione di benvenuto!

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Eccomi! Sono una scrittrice in erba, divoratrice di libri, sognatrice professionista e ansiosa sociale multicorazzata. Ho la fissa dei ricordi, la testa fin troppo tra le nuvole, interessi disordinati, un amore impossibile per gli alberi e una passione al limite del ridicolo per le serie tv. Ah, e le presentazioni non sono proprio il mio forte. Si vede?

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